di Silvia C. Turrin

Era il 1984 quando Thomas Sankara, diede un nuovo nome alla sua nazione, chiamata un tempo Alto Volta. L’ex ex colonia francese è ormai conosciuta come Burkina Faso, che significa “terra degli uomini integri”, a indicare la ritrovata dignità dopo secoli di controllo da parte delle potenze europee. Questo paese dell’Africa Occidentale racchiude un mosaico di popoli, come testimonia il suo stesso nome, dato che è formato da una parola – Burkina – in lingua mòoré, e l’altra – Faso – di origine dioula.

Crogiolo di culture ed etnie – dai Mossi, ai Peul, dai Tuareg ai Bobo e Lobi –, il Burkina Faso ha saputo conservare, nonché valorizzare usanze e costumi tradizionali. Apprezzate per i loro cromatismi e i particolari simbolismi sono le maschere delle diverse etnie, che tornano a popolare le strade dei villaggi in occasione di varie celebrazioni.

Basti considerare quelle tipiche dei Bwa, popolo dedito prevalentemente all’agricoltura. Caratterizzata al suo interno da clan (contadini, fabbri e griot), quest’etnia conserva ancora ancestrali costumi. Le maschere sono le indiscusse protagoniste durante le celebrazioni dei miti. Tra i Bwa troviamo soprattutto due tipi di maschere: quelle a foglie o maschere “piatte” e quelle in legno. Le prime sono dedicate alla divinità chiamata Do, considerato il supremo creatore; le seconde hanno un significato più sociale legato alla comunità.

Ogni colore utilizzato esprime un simbolismo: il bianco ritrae la luce o il giorno, il nero raffigura la notte, mentre il rosso indica la forza vitale. In genere, sono i clan familiari che organizzano l’uscita delle varie maschere, in occasione di funerali, cerimonie di iniziazione o per propiziarsi un buon raccolto.

Infatti, all’approssimarsi della stagione umida, vengono organizzate danze di maschere per invocare piogge abbondanti. Spesso si tratta di maschere zoomorfe, raffiguranti cioè varie specie animali, come il coccodrillo, il camaleonte e la farfalla. Attraverso la danza delle maschere, i Bwa si rivolgono agli spiriti della natura per attrarre le forze benefiche.

Le maschere celebrano e rispettano la natura

L’aspetto interessante delle maschere del Burkina Faso – e in genere di tutte le maschere dell’Africa occidentale – è la loro dimensione ecologica, nel senso che sono realizzate utilizzando solo ciò che fornisce la natura: legno, foglie, fibre naturali.

Questa espressione artistica è un chiaro segno del profondo animismo che permea i popoli della “terra degli uomini integri”. Le maschere sono un ponte tra l’uomo, la natura e gli spiriti  e hanno il ruolo di ristabilire l’ordine sociale, politico e religioso. Chi le indossa è un iniziato: perde la propria identità e assume quella di mediatore tra la terra e il cielo, tra le genti del villaggio e le forze celesti.

Nel Burkina Faso vengono organizzati numerosi festival grazie ai quali è possibile rimanere coinvolti fra danze e maschere. È il caso del Lumassan, evento che si tiene ogni anno in primavere a Toma, nella terra dei Samo e  dei San. Più noto è Festima, il Festival internazionale delle maschere e delle arti organizzato ogni due anni a  Dédougou, nel mese di marzo. Ricordiamo poi il Zandom’art, Festival di danze e canti tradizionali organizzato a  Gourcy (con cadenza biennale) e il Festival delle maschere di Pouni, che si sviluppa ogni anno come un grande carnevale e per l’occasione viene allestito un mercato di prodotti locali.

 

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