Ci sono guerre che non fanno notizia. Eppure, le conseguenze di ogni conflitto armato sono le stesse – o sono comunque simili – a ogni latitudine del globo.

La guerra in Sudan dura da oltre 300 giorni e i dati diffusi dall’UNICEF risultano allarmanti: sono ben 14 milioni i bambini che hanno bisogno di assistenza e molti di loro si trovano nelle zone difficili da raggiungere a causa dei combattimenti.

I numeri, lo sappiamo, non danno voce alle loro sofferenze, fisiche e psicologiche, ma rivelano l’urgenza di offrire soccorsi, perché la malnutrizione acuta rischia di mietere più vittime della stessa guerra.

Ma ciò che accade in Sudan non è al centro dell’interesse della comunità internazionale, come denunciato dal segretario generale dell’ONU António Guterres, il quale ha esortato a fare tutto il possibile per mettere fine alle ostilità, poiché “è orribile ciò che sta accadendo”.

La regione del Sudan – che vide fiorire l’antico Regno di Kush – è sempre stata fortemente instabile a seguito dell’indipendenza dal Regno Unito (1956). Un terribile conflitto tra il Sud e il Nord scoppiò subito dopo la costituzione della nuova nazione. Durò ben 17 anni. Nonostante la concessione dello status di regione autonoma alla zona meridionale del Sudan, le fratture socio-politiche rimanevano profonde.

Il Sudan ripiombò in un altro periodo destabilizzante: da qui la scelta di dividere la nazione in due, avvenuta ufficialmente nel 2011. Nacque la giovane nazione del Sud Sudan. Ma nemmeno questa secessione portò la pace. Dal 2013 al 2018 scoppiò una disastrosa guerra civile. Tra i fattori l’abbondanza di petrolio nel sottosuolo, in un paese la cui popolazione rimane fondamentalmente povera.

Questo nuovo conflitto nella regione sudanese è iniziato a metà aprile 2023. Sono rimasti inascoltati i messaggi di pace e di riconciliazione lanciati da Papa Francesco in occasione del suo viaggio ecumenico in Sud Sudan nel febbraio 2023 (per approfondire, leggi i nostri reportage della visita del papa in Africa).

Questa nuova guerra ha provocato oltre 12mila vittime e ha costretto più di 7 milioni di persone a fuggire dalle proprie case. Il vicino Ciad ospita migliaia di profughi provenienti dal Sudan. Ancora numeri, che però rivelano il dramma dei civili. Morti e sfollati provocati dalle rivalità tra il generale Abdel Fattah Burhane, militare sudanese, e Mohamed Hamdan Daglo, comandante delle forze paramilitari di supporto rapido (Rsf).

Ancora una volta, epicentro dell’attuale conflitto è il Darfur occidentale, già tristemente noto per le atrocità compiute nel 2003.

Secondo Karim Khan, procuratore della Corte penale internazionale (CPI), nella soluzione dei problemi del Sudan la giustizia può svolgere un ruolo centrale, perché ciò che ancora accade nel Darfur costituisce una violazione dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale. Da qui l’apertura di un’inchiesta per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio.

Karim Khan, davanti ai membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ha pronunciato parole critiche, affermando di essere consapevole della “pandemia di inumanità” alla quale la comunità internazionale deve far fronte.

Malgrado l’orrore della guerra, occorre ricordare le parole pronunciate dal Pontefice in occasione del suo viaggio ecumenico in Africa nel 2023:

 Che vengano deposte “le armi dell’odio e della vendetta”

 “Non perdete mai la speranza. E non si perda l’occasione di costruire la pace”.

Silvia C. Turrin

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foto: wikipedia.org; United Nations