Silvia C. Turrin

La Conferenza Onu sui cambiamenti climatici tenutasi in Egitto nel novembre 2022 si è conclusa lasciando molte questioni ancora sospese e senza risposte. Tra i pochi aspetti positivi vi è la decisione di creare un fondo speciale destinato a coprire i danni subiti dalle nazioni più vulnerabili ai mutamenti globali del clima.

Dal 6 al 20 novembre 2022, a Sharm el-Sheikh, la XXVII Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici – meglio nota con l’acronimo di COP27 – ha deluso molte aspettative. In primis, la copertura mediatica dell’evento, in Italia, è stata decisamente superficiale. Eppure, anche il nostro Paese è tra quelli in Europa che sta subendo pesanti conseguenze dovute al riscaldamento globale. Basti pensare al distacco di una parte del ghiacciaio della Marmolada e alle numerose alluvioni verificatesi in questi decenni in molte zone fragili, da nord a sud.

Quando si parla di clima non ci sono frontiere che tengano. È un tema che riguarda tutti, eppure i delegati che hanno preso parte alla recente COP27 non hanno avuto ancora il coraggio di pronunciarsi chiaramente contro l’uso dei combustibili fossi, principali imputati del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici in atto sul pianeta.

Come si è accennato, tra i pochi aspetti positivi emersi dall’incontro vi è la costituzione di un fondo speciale destinato a coprire le perdite e i danni subiti dalle nazioni maggiormente esposte alle alterazioni del clima. Vi rientrano la maggior parte dei paesi africani, ovvero tra quelli che hanno inquinato meno in passato e che continuano a non produrre gas serra a differenza di Cina, Stati Uniti e India. Eppure, proprio l’Africa è il continente più vulnerabile agli effetti drammatici del riscaldamento globale.

La desertificazione colpisce numerose aree dell’Africa.

Basta prendere in considerazione quanto sta accadendo nel solo mese di novembre in alcune aree africane. In Zimbabwe, la siccità non solo sta provocando una penuria di acqua, ma anche gravi problemi nella produzione di energia idroelettricità derivante in primis dall’impianto della diga di Kariba.

Effetto opposto sono le devastanti inondazioni che hanno colpito numerose nazioni africane, come la Nigeria, il Sudan del Sud e il Ciad. Siccità e alluvioni sono due facce dello stesso problema, che è il riscaldamento globale, che sta modificando delicati equilibri ambientali.

Mappa che evidenzia i Paesi maggiormente responsabili dell’emissione di anidride carbonica per abitante tra il 1950 e il 2000

La decisione di creare un fondo per sostenere – almeno economicamente – queste nazioni vulnerabili non era scontata. Le nazioni più ricche, cioè quelle che hanno prodotto i maggiori livelli di gas serra nell’ultimo secolo e mezzo, chiedevano ancora una responsabilità illimitata nella gestione dei problemi climatici. Così per fortuna non è stato, e ciò ha evidenziato le effettive “colpe” nella produzione di quegli agenti inquinanti, che sono i maggiori imputati del global warming.

Decisioni mancate

La COP27 si è di fatto conclusa senza aver raggiunto un accordo concreto in merito alla rapida riduzione delle emissioni di gas serra. Questa decisione è fondamentale, oltre che urgente, per attuare davvero l’obiettivo di limitare il riscaldamento climatico a 1,5°C in rapporto ai livelli pre-industriali.

 

Proiezione della variazione della temperatura media mondiale in rapporto al periodo 1850-1900. Fonte Giec (Gruppo di esperti intergovernativi sull’evoluzione del clima)

Considerare questo dato è davvero importante, perché se la temperatura atmosferica del pianeta dovesse superare il livello di 1,5° C rispetto all’era pre-industriale rischieremmo di entrare in una soglia climatico-ambientale incerta, con punti di non ritorno. In pratica, le dinamiche del pianeta Terra così come le conosciamo muterebbero e potremmo andare incontro a eventi incontrollabili e catastrofici.

Ecco perché, già nel lontano dicembre 2015, venne adottato l’Accordo di Parigi, con cui si è sottolineata l’importanza di perseguire ogni sforzo possibile per limitare l’innalzamento della temperatura globale a 1,5°C. Rispetto al periodo pre-industriale le attività derivanti dal nostro sistema economico hanno già prodotto un riscaldamento di circa 1°C, quindi siamo già vicinissimi al limite oltre il quale gli ecosistemi della Terra rischiano di mutare in modo drastico.

I punti su cui ci si dovrebbe concentrare per “salvare il pianeta” sono:

  • ridurre drasticamente le emissioni di gas serra;
  • abbandonare i combustibili fossili che provocano il global warming;
  • non oltrepassare la soglia dell’1,5° C in relazione all’innalzamento della temperatura globale rispetto al periodo pre-industriale;
  • promuovere la transizione ecologica e le energie verdi.

Il peso delle lobby dei combustibili fossili

La bramosia di accumulare profitti a danno dell’ambiente rischia di frenare queste urgenti azioni. Come ha evidenziato l’attivista ugandese Vanessa Nakate, all’interno della COP27 si sono infiltrati anche i lobbisti dei combustibili fossili, incuranti della distruzione e della devastazione dell’uso protratto di petrolio, carbone e gas.

L’attivista ambientalista ugandese Vanessa Nakate

All’interno della Conferenza delle Nazioni Unite per il clima, secondo le organizzazioni ambientaliste ci sarebbero stati oltre 600 delegati collegati in qualche modo all’industria dei combustibili fossili.

L’altro elemento preoccupante riguarda i flebili investimenti nelle rinnovabili in tutto il continente africano. Il sole potrebbe essere l’oro giallo del futuro, ma l’implementazione di progetti connessi ai pannelli solari rimane bassa. In questo caso, la responsabilità ricade sulle politiche energetiche e ambientali dei singoli governi africani e dei vari amministratori locali.

L’Africa ha enormi potenzialità nel campo delle rinnovabili. Per evitare di continuare a piangere i morti dovuti a carestie, siccità e inondazioni le élite africane (e non solo) dovrebbero abbandonare la bramosia di potere e di denaro per abbracciare uno sguardo lungimirante a beneficio non delle lobby, ma dei propri cittadini.

 

Foto: wikimedia.org; Flickr.com