Le Nazioni Unite hanno lanciato l’appello: “Siamo sull’orlo di una carestia mondiale di proporzioni bibliche, con oltre 250 milioni di persone a rischio”.

Il continente africano è stato preservato dagli effetti catastrofici del Covid-19: i contagi e i morti sono inferiori in cifre assolute e in proporzione a quelli registrati da altri continenti. Ma gli altri effetti, quelli economici e sociali, si stanno già rivelando più mortali del virus: la gente ha fame, il cibo manca, e mancano i soldi per le necessità quotidiane.

Non cessano le proteste popolari, come testimonia il sito ACLED  che dedica una pagina alle sommosse e manifestazioni registrate nei Paesi africani nelle ultime settimane.

Sulla questione, abbiamo interpellato due abitanti della Costa d’Avorio. Il primo vive in quartiere popolare di Abidjan, Koumassi, e il secondo nella più grande città del Nord, Korhogo, che ha accolto più di centomila sfollati della guerra civile che ha dilaniato il Paese nel primo decennio del secolo.

Jean Bosco Yao lavora in una piccola impresa di assistenza informatica di Abidjan, ma da due mesi la sua attività è ferma, e solo da pochi giorni ha potuto uscire di casa con un po’ più di libertà, dopo che il governo ha alleviato le misure restrittive del lockdown.

Così ci descrive ciò che vive la gente a Abidjan: “La situazione qui è catastrofica: perdita di posti di lavoro, persone in disoccupazione senza alcuna misura di sostegno, costo del cibo aumentato vertiginosamente in città, potere d’acquisto della popolazione diminuito dell’80%, e situazione drammatica per chi vive dell’economia informale, quindi di un reddito percepito giornalmente: queste persone e le loro famiglie non hanno più soldi e non sanno più cosa fare per comprarsi da mangiare”.

Gli fa eco Alphonse Soro, che è impiegato in un Centro di formazione e assistenza per Handicappati, gestito dalle Suore Figlie della Croce, nella capitale del grande Nord, Korhogo: “Più di metà della popolazione consuma non più di un pasto al giorno. Il settore privato è stato il più colpito dalla chiusura delle attività e dal licenziamento di un numero significativo di lavoratori. Peggio ancora per chi si arrangia nel settore informale. Le Suore che gestiscono il nostro Centro hanno tutti i giorni una coda infinita di persone alla porta, che bussano per avere un po’ di cibo”.

Jean Bosco Yao rincara la dose: “Più di 3.000 donne e 2.000 uomini traevano un reddito nel grande mercato del nostro quartiere, che è stato chiuso bruscamente. Anche mia moglie Véronique, che aveva un piccolo negozio di parrucchiera nelle vicinanze del mercato, ha dovuto chiudere e rimanere a casa, senza alcuna compensazione. L’assurdo è che l’amministrazione comunale continua ad esigere il pagamento dell’affitto e delle tasse dei locali in cui tutta questa gente esercitava la sua attività economica: mia moglie non percepisce niente, ma deve pagare mensilmente al Comune 70.000 franchi (110 €). Tutti vivono questa difficoltà: parrucchieri, sarti, falegnami, i venditrici di pesce, di frutta, impiegati di bar, ristoranti, di sale giochi, facchini, lavoratori dei trasporti, autisti di camion, di taxi”.

Alphonse Soro vive in una zona del Paese che trae il suo reddito dall’agricoltura. Ma il lockdown ha paralizzato anche il lavoro dei campi. “Il governo ha imposto ai contadini dei villaggi di rimanere a casa, di non uscire per lavorare i propri campi.” E chi si azzardava a uscire veniva punito severamente dalla Polizia. Così la produzione agricola è marcita nei campi, e nelle città si è verificata una penuria di verdura, frutta, manioca, ignami, come anche di pollame e carne bovina. Anche chi ha i soldi, non può comprare niente, e tutti hanno dovuto imparare a stringere la cinghia, ci dice sconsolato. “I contadini hanno consumato anche ciò era stato conservato nei granai per la prossima semina: come faranno ora?”, si chiede.

Ho chiesto loro se tra la gente ci sono stati gesti spontanei di solidarietà. E entrambi hanno risposto in modo affermativo. “Tra vicini di casa nel mio quartiere – spiega Jean Bosco Yao – si cerca di aiutarsi. Quando si trova qualche alimento da comprare a prezzo favorevole si condivide. Qualcuno si è persino offerto di pagare per altri le bollette di acqua e elettricità: il governo le ha congelate per tre mesi, ma la gente povera ha paura di trovarsi più tardi con un debito impossibile da pagare”.

Anche a Korhogo non sono mancati gesti di solidarietà, ci informa Alphose Soro: le parrocchie cattoliche e gli istituti di religiose hanno distribuito cibo, medicinali, vestiti, le porte sono sempre rimaste aperte per ascoltare, consolare e incoraggiare le persone sempre più disperate, i grandi commercianti della città hanno fatto doni di viveri ai più poveri. Ma, osserva Alphonse “tutto questo è solo una goccia nell’oceano dei bisogni della nostra gente”.

Chiedo anche un’informazione sulla vita religiosa in tempo di lockdown, conoscendo come sono vive e partecipate le celebrazioni in Costa d’Avorio. “Da noi, nel quartiere Koumassi – dice Jean Bosco – tantissimi seguivano la messa per radio, trasmessa al mattino alle 6.20 e alla sera alle 19 da Radio Espoir. La domenica le messe per radio erano tre, di cui una in inglese. Anche protestanti e musulmani hanno usato molto la radio per raggiungere i loro fedeli”.

E ci segnala anche un’iniziativa originale dei Parroci della sua zona di origine, nell’est del Paese, la Prefettura di Tankessé-Koun Fao: sono stati installati nei villaggi e nelle cittadine degli altoparlanti, collegati via radio con la parrocchia, che emettevano regolarmente il rosario, la messa, degli insegnamenti biblici, ed anche informazioni sanitarie sull’epidemia in corso. Ciò è stato molto apprezzato dalla gente.

Alphonse Soro invece è un po’ più pessimista: “È stato un grande dolore rimanere senza messa o preghiera alla moschea, ciascuno a pregare isolato in casa. Certo la fede è rimasta nel cuore della maggior parte dei fedeli, ma alcuni hanno detto di aver perso la fiducia in Dio, quindi, dopo questa epidemia, dovremo pensare a una ri-evangelizzazione.”

P. Marco Prada

Foto: VoA, France24 (Z.Bensemra, Reuters), RTI