I droni hanno una brutta fama in Africa. Assassinii mirati in Somalia, localizzazioni di ribelli in Mali, ricerca di miniere nella martoriata Repubblica Democratica del Congo. Operazioni spesso segrete che continuano tuttora.

Da qualche anno, però, l’utilizzo di questi mezzi ha assunto anche un altro ruolo: quello umanitario. Sempre più organizzazioni e società, straniere e locali, lanciano droni nei cieli di vari Paesi del continente nero. L’obiettivo principale è poter raggiungere con più facilità aree remote dove auto, moto, camion, elicotteri e aerei non potrebbero arrivare senza affrontare grandi rischi.

Gli ostacoli possono essere diversi: strade impraticabili per fango e pioggia. Percorsi inaccessibili a causa di gruppi armati o militari regolari. Vie sbarrate dalla caduta di un ponte o la distruzione di una diga. O ancora, terreni potenzialmente cosparsi di mine o altre possibili trappole.

Il drone umanitario, sbarcato in Africa circa due anni fa, diventa quindi un mezzo per risparmiare soldi, tempo e energia. Le organizzazioni umanitarie avranno quindi la possibilità di trasportare medicine, controllare l’accessibilità di una strada, sorvegliare la sicurezza, mappare una zona specifica e controllare gli eventuali danni provocati dal maltempo in una località.

Nel giugno del 2017, per esempio, il governo del Malawi e l’Unicef hanno lanciato un corridoio per provare l’uso dei cosiddetti “Veicoli aerei senza-pilota” o “Unmanned aerial vehicles” (Uav).

“Si tratta del primo centro africano in cui i droni hanno un ruolo focalizzato solo sull’aiuto umanitario”, avevano dichiarato le autorità del Malawi. In questo luogo dedicato all’utilizzo dei droni umanitari si esercitano e scambiano informazioni società private, università, organizzazioni umanitarie e altri organismi che vogliono offrire tali servizi per aiutare le comunità.

Già nel 2016, però, la società statunitense Zipline aveva iniziato a usare i droni per distribuire rifornimenti medici in Africa orientale. I loro primi interventi sul campo dovevano infatti essere coordinati con i ministeri della salute locali. Per diversi mesi i fondatori di Zipline hanno girato l’Africa con lo scopo di trovare le aree dove i loro droni potevano essere più utili.

I livelli più bassi del settore della salute li avevano trovati in Ruanda e Tanzania. È così l’azienda è arrivata, ha parlato con le autorità, e in poco tempo è riuscita a far volare i primi droni carichi di medicine. All’inizio gli Uav trasportavano farmaci per la malaria. Poi, in accordo con le autorità locali, hanno cominciato a caricare altre medicine a seconda delle richieste che si registravano in una particolare area. Il mezzo può far cadere la merce dall’alto e ritornare alla base. Oppure può atterrare in un luogo per poi ridecollare.

L’utilizzo dei droni a scopo umanitario non è però semplice. Nel corso degli anni si sono riscontrati problemi tecnici e umani. È capitato, per esempio, che i droni umanitari fossero scambiati per quelli militari, provocando così terrore tra la gente. In Centrafrica il drone di un’organizzazione umanitaria occidentale è invece caduto nella capanna di una famiglia danneggiando la casa e ferendo almeno una persona.

“I droni usati nelle missioni umanitarie affrontano contesti caotici e caratterizzati da risorse limitate – hanno dichiarato alcuni esperti durante una recente riunione negli Stati Uniti –. Produrre delle linee guida a livello internazionale per l’uso dei droni è quindi sempre più necessario”.

Matteo Fraschini Koffi
giornalista freelance da Lomé