“Ci sono guerre che non fanno notizia” avevamo scritto in un Articolo (febbraio 2024) relativo al conflitto in Sudan.
Dopo oltre un anno, siamo costretti a riproporre le stesse parole in riferimento a ciò che sta accadendo in una terra dimenticata dalla maggioranza dei media mainstream italiani.
Eppure, siamo di fronte a una catastrofe umanitaria di proporzioni spaventose, provocata dal conflitto tra l’esercito sudanese e le Forze di Supporto Rapido (RSF).
Violenze, abusi e mancanza di cibo
Una guerra iniziata nell’aprile 2023 e che ha provocato quasi 13 milioni di sfollati, di cui 9 milioni circa all’interno del Paese e più di 4 milioni nei Paesi limitrofi.
Le persone fuggono non solo dai combattimenti, ma anche da violenze, abusi e dalla mancanza di cibo.
È da mesi che l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA), l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e l’Unicef diffondono dati e analisi allarmanti.
Oltre 25 milioni di sudanesi vivono in condizioni di grave insicurezza alimentare e in alcune aree del Paese, specialmente nella regione del Darfur, si parla di carestia.
Sono milioni i bambini che necessitano di urgente assistenza umanitaria, metà dei quali non hanno neppure i cinque anni.
Proprio nel giorno in cui prepariamo questo scritto, quattro agenzie delle Nazioni Unite – l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), l’UNICEF e il World Food Programme (WFP) – hanno lanciato un appello in cui chiedono alla comunità internazionale di agire con urgenza davanti alla catastrofe umanitaria in Sudan.
“Oltre 900 giorni di combattimenti brutali, violazioni diffuse dei diritti umani, carestia e il collasso dei servizi essenziali per la sopravvivenza hanno spinto milioni di persone, in particolare donne e bambini, sull’orlo della sopravvivenza”, si legge nel Comunicato.
Il Darfur rimane una delle aree del Paese più colpite dalle violenze che si susseguono da decenni.
Eppure, qualcosa si muove, lentamente, ma si muove, almeno sul piano della giustizia.
L’importante ruolo della Corte penale internazionale per fare giustizia

Karim Khan, procuratore della Corte penale internazionale
Come aveva auspicato Karim Khan, procuratore della Corte penale internazionale (CPI), e come avevamo segnalato in un nostro Articolo, la giustizia può svolgere un ruolo centrale nella soluzione dei problemi del Sudan, perché ciò che ancora accade nel Darfur costituisce una violazione dello Statuto di Roma (che fa testo anche nel caso della crisi di Gaza e nella guerra in Ucraina).
E infatti si è arrivati alla decisione della Corte penale internazionale di condannare Ali Muhammad Ali Abd Al Rahman, noto anche come “Ali Kushayb”, per crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi tra il 2003 e il 2004 in Darfur.
Su questa decisione si è pronunciato Tigere Chagutah, Direttore Regionale di Amnesty International per l’Africa Orientale e Meridionale, il quale ha affermato che:
“Questo verdetto, atteso da tempo, contribuisce in qualche modo a rendere giustizia alle vittime di Ali Kushayb e dovrebbe segnare una pietra miliare nella ricerca di giustizia per i crimini commessi in Darfur da oltre 20 anni. Questa condanna dovrebbe servire da campanello d’allarme per tutti i responsabili delle violazioni dei diritti umani nel conflitto in Sudan: un giorno saranno ritenuti individualmente responsabili”.
Anche Nazhat Shameem Khan, vice procuratrice della Corte penale internazionale, ha dichiarato che la sentenza è “un passo cruciale verso la riduzione delle impunità in Darfur” auspicando che “la giustizia prevarrà”.
La proliferazione di armi sofisticate
Il conflitto in Sudan sta provocando una proliferazione di armi sofisticate (a cominciare dall’uso dei droni, come si è visto di recente attorno all’aeroporto internazionale di Khartoum) e ha alimentato reti di contrabbando che operano fino al Sahel. Lo denuncia un rapporto della Global Initiative Against Transnational Organized Crime (GI-TOC).
L’Ong internazionale con sede a Ginevra, ha messo in evidenza come il conflitto in Sudan stia sostenendo in parallelo due canali di approvvigionamento di armi: uno ufficiale, l’altro clandestino, composto da contrabbandieri e reti criminali che, attraverso il Darfur, hanno ripristinato e riutilizzato vecchie rotte, con collegamenti con il Ciad e la Libia.
Il rapporto della Global Initiative sottolinea inoltre come la guerra in Sudan abbia fatto emergere una competizione per il controllo delle economie formali e illecite.
In tutto questo, come sempre, le vittime sono i civili, i più indigenti e i più indifesi.
Silvia C. Turrin
foto: unhcr.org; unicef