Sabato 1° luglio 2023, padre Pier Luigi Maccalli ha offerto alla comunità di CL di Genova una toccante testimonianza legata non solo al suo rapimento e alla sua liberazione, ma anche alla sua esperienza missionaria con la SMA.

La suggestiva cornice della terrazza degli Emiliani di Nervi si è trasformata in uno spazio dove rievocare l’Africa, i problemi che affliggono questo grande continente, pieno di contraddizioni, al contempo intriso di tanta bellezza. I presenti – oltre duecento – hanno potuto comprendere come la preghiera e la forza del cuore siano stati sostegno per affrontare un drammatico rapimento, come quello vissuto da padre Gigi, come viene chiamato amicalmente Pier Luigi Maccalli dai confratelli della SMA e dagli amici.

Alla domanda “Come ha fatto a vivere in una situazione così?”, padre Gigi ha risposto con una frase emblematica:

“Sono stati i due anni più fecondi dei ventitré trascorsi in Africa. La separazione da tutto mi ha cambiato nel profondo. Ho dovuto mollare il timone della missione a Dio, accettare questo cambio di programma. E lasciare che le domande che credevo di aver già sistemato, tornassero a scuotermi. Perché io potessi incontrare di nuovo Dio. Sapevo che potevo gridare a lui, perché lui era con me. Le stelle della notte mi facevano percepire la luce nel buio”.

Padre Gigi ha vissuto una terribile e lunghissima esperienza durata venticinque mesi, durante i quali è stato prigioniero di un gruppo di jihadisti nel deserto del Mali.

Il rapimento è avvenuto nella sera del 17 settembre 2018, mentre si trovava alla missione di Bomoanga. Uomini armati, che si spostavano in moto, avevano fatto irruzione nella missione, a 120 km a ovest di Niamey. Avevano sparato in aria delle raffiche di mitra, e fatto prigioniero p. Pier Luigi Maccalli.

La sera del 5 ottobre 2018 padre Gigi venne incatenato per la prima volta. Per 22 giorni ed altrettante notti venne tenuto in catene, nascosto tra arbusti ed alberelli, una “natura amica” che lo proteggeva dai raggi del sole.

Ma il deserto gli ha anche regalato doni che gli hanno permesso di affrontare il lungo periodo di rapimento: 752 giorni di cattività.

Da una stoffa che utilizzava per ripararsi dal sole padre Gigi ha realizzato un rosario, mentre con due bastoncini levigati di legno aveva formato una croce che ancora conserva. La prigionia forzata è stata da lui trasformata in un’occasione per rafforzare la sua fede e il legame con Dio.

E le sue preghiere e quelle delle numerose persone che gli vogliono bene sono state parte di quell’humus fecondo che ha permesso la sua liberazione.

In realtà, erano i suoi carcerieri a essere i veri prigionieri, come ha raccontato padre Gigi in quella terrazza di Nervi sospesa tra Genova e le sabbie del deserto:

“Quelli che mi tenevano in catene erano i veri prigionieri indottrinati, oltre che ostaggi dei video di propaganda. Da ostaggio non ho voluto perdere lo sguardo su tutti, in modo che la vita fiorisse, non solo la mia, ma anche quella dei miei carcerieri, perché – come diceva il teologo François Varillon – ‘Ciò che l’uomo umanizza, Dio divinizza’. Missione è umanizzare le relazioni. Non ho permesso ai miei carcerieri di disumanizzarmi. L’ultimo giorno ho cercato lo sguardo del loro capo e gli ho detto: Abu Naser, c’è una cosa che voglio dirti… che Dio ci conceda un giorno di comprendere che siamo tutti fratelli”.

Alcune foto dell’incontro con p. Gigi a Nervi

Padre Pier Luigi Maccalli racconta la sua prigionia, ma anche il suo legame con la Società delle Missioni Africane nel libro “Catene di libertà. Per due anni rapito nel Sahel” (EMI, 2021). Per approfondire clicca qui

“Adesso sono libero per liberare il perdono e spegnere sul nascere ogni inizio di violenza.

Sono libero per liberare l’accoglienza e consolare chi è affaticato e oppresso.

Sono libero per liberare la parola e dire a tutti di non incatenare mai nessuno.”

Padre Gigi


A cura di Silvia C. Turrin

Si ringraziano Mario Predieri per l’articolo pubblicato su Il Cittadino
e Gianluca Tardivelli per la selezione delle fotografie dell’evento