“Noi, come Chiesa, che tipo di allerta diamo alle nostre società?” È questa la domanda con cui Padre Mauro Armanino, in visita nella nostra comunità parrocchiale domenica 15 settembre, ha dato il via al commento del Vangelo di Giovanni del giorno (5, 25-36). Nelle nostre comunità, oggi, il rischio è quello di essere dei sepolcri, chiusi in sé stessi e nei quali abbiamo rinchiuso la Parola di Dio, facendo sì che la stessa rimanga imbrigliata nel sistema di idee concorrenti. L’allerta che oggi, come cristiani, siamo chiamati a dare è la crescente infedeltà ai nostri valori di giustizia e solidarietà che ci sono stati donati da Cristo, morto crocifisso a motivo di ciò che diceva.

Il Vangelo, oggi, nelle nostre società, non è più qualcosa di pericoloso, come invece è ritenuto in Niger, il Paese in cui Padre Mauro è chiamato a svolgere il proprio mandato missionario. Padre Mauro ha declinato la sua esperienza nel Sahel attraverso quattro parole sintetizzanti: privilegio, passione, provocazione e passare. Poter fare esperienza delle difficoltà, delle contraddizioni, delle allerte di questo Paese apre ad una osservazione del mondo da una prospettiva diversa, che permette di scrutare la verità della realtà in cui viviamo. È un “drammatico privilegio” vivere direttamente la povertà e la miseria, la denutrizione, gli sfruttamenti, la guerra e la paura che perversano nel Paese di Sabbia. La proclamazione del Vangelo tra appena cinquantamila cristiani in un paese di due milioni di abitanti- in termini percentuali, il 2,5%- è la passione di una chiesa che è vocata alla sofferenza e al martirio, in maniera non dissimile alle prime comunità cristiane. Le comunità locali sono colpite dalla violenza del terrorismo di matrice islamica radicale, come nel massacro della parrocchia di Dolbel, vicino alla capitale Niamey, o da uccisioni e sparizioni, come nel caso del rapimento, avvenuto ormai un anno fa, di Padre Pierluigi Maccalli.

Parliamo, quindi, di un popolo che soffre, a cui è negato il diritto di vivere dignitosamente, che subisce il commercio di droga e di dignità. Nonostante gli interventi esteri nel Paese- così come negli Stati vicini- possano essere pubblicizzati positivamente, essi non portano tuttavia degli effetti importanti sulle popolazioni, che si vedono sempre più terra sottratta e non ricevono dei benefici per le loro vite. Con la complicità della militarizzazione del territorio, finiscono per vedere ridotte drasticamente le loro libertà e possibilità di mobilità, causando un numero non indifferente di morti a seguito di tentativi di migrazioni che vengono troncati sul nascere. È una grande provocazione per noi che viviamo dalla parte giusta del mondo, ma che ci facciamo esportatori di ipocrisia.

L’invito finale che Padre Mauro ci ha consegnato, a conclusione della sua testimonianza, è quello di “passare oltre ad un mondo fatto di frontiere di carta, di carne e di griglie.” L’esperienza vissuta in Niger, fatta di difficoltà e di impossibilità, di smarrimento e spaesamento, permette di togliere quel senso di onnipotenza che spesso vorrebbe ammantare il nostro agire. A questo mondo non servono eroi, ma gente che si chieda “voglio trasformare il mondo o lasciarlo com’è?”, di gente che, consapevole delle proprie fragilità, impari a vivere pienamente, e non a sopravvivere alla giornata, che sappia come reagire per presentare una storia diversa.

Giuseppe Arcidiacono, nel sito della Parrocchia di Turro, Milano