Cattolica proveniente da una famiglia musulmana, Nancy si sente missionaria laica servendo i malati nel Foya Health Centre, il Centro Sanitario della parrocchia di Foya, Liberia.
L’ha intervistata p. Lorenzo Snider, dell’èquipe di padri SMA che gestiscono la Parrocchia.

Nancy, a sinistra, nel suo ufficio al Centro Medico di Foya

Nancy, puoi presentarti brevemente ?

Sono Nancy Buakai Tambah, la mia professione è Social Worker. Attualmente sono amministratrice del Foya Health Centre, e al tempo stesso sto studiando sociologia e management all’Università della Liberia.

Nel passato ho lavorato con Ong internazionali, come Samaritan Perse, per la tutela dei diritti delle donne e dei minori ed una particolare attenzione alla lotta contro la violenza di genere.

I miei hobbies? Mi piace cucinare e stare con i bambini, leggere e contemplare la natura.

Quale è stato il tuo percorso religioso?

Sono cristiana cattolica, proveniente da una famiglia mussulmana molto numerosa. Come potete immaginare, per me la fede è stata un dono, ma anche una battaglia. Ora, in tutto quello che faccio, sento che è Gesù Cristo a rendere possibile il mio servizio verso agli altri. È il pilastro e le fondamenta della mia vita.

Da qualche mese ti occupi dell’amministrazione di un centro di salute pubblico, gestito dalla chiesa cattolica. Quali sono le sfide principali che state affrontando?

La povertà in questa regione è molto forte. La ragione stessa dell’esistenza del Centro è quella di poter fornire un servizio di qualità ad un prezzo accessibile. Purtroppo molte persone non riescono a pagare nemmeno le medicine, che forniamo ad un prezzo molto basso. La maggior parte di loro lavora nei campi, in un’agricoltura di sussistenza fondata sulla cultura del riso.

Come responsabile del centro devo poi gestire il rapporto con l’amministrazione pubblica, che spesso non risponde alle nostre richieste e non fornisce sufficienti risorse per rispondere ai bisogni dei nostri pazienti.

Alcune puerpere con le infermiere del Centro

Una delle sfide per i prossimi anni riguarda la struttura stessa che stiamo gestendo. Lo spazio è molto limitato e concentriamo in pochi locali la maternità, medicina generale, pronto soccorso. In modo particolare abbiamo bisogno di alcuni locali dove le partorienti che vengono da lontano possano soggiornare qualche giorno prima e dopo il parto.

In questo tempo di Coronavirus il personale medico-sanitario è sottoposto a forte stress ed è ad alto rischio di contagio. Come vivete queste difficoltà legate alla pandemia globale?

In effetti, viviamo nella paura del contagio. Ma dobbiamo essere presenti per occuparci dei nostri pazienti. Seguiamo le indicazioni del Governo e lavoriamo per la sensibilizzazione.

Nella nostra contea non ci sono casi conclamati di Covid-19. Con il mio staff ci siamo impegnati a continuare ad occuparci dei malati, seguendo le misure di sicurezza.

Durante questo tempo di lockdown è difficile avere delle medicine e materiale per la sicurezza. In questo senso è essenziale per noi il sostegno che riceviamo dall’estero, che ci permette tra l’altro di sostenere le spese del personale in un periodo in cui la gente ha paura di frequentare ospedali e dispensari ed è invece prioritario per noi mantenere il nostra standard.

Qui a Foya fai parte di una comunità SMA internazionale, con due preti italiani (p. Walter Maccalli e io Lorenzo), uno ivoriano (p. Erick Aka), ed una laica portoghese (Alexandra). Come ti stenti in questa comunità? Quali sono le ricchezze e le difficoltà che affronti quotidianamente?

Ringrazio Dio per la possibilità che mi ha dato di trovarmi in una comunità internazionale in cui è possibile cercare l’unità nella diversità. Ricevo molto aiuto dalla comunità: nella preghiera, nella comunicazione, negli aiuti concreti, mi permettono vivere bene.

P. Walter, p. Erik, Alexandra, p. Lorenzo

Per me, viste le mie esperienze passate, è facile adattarmi. Se è vero che a volte non è facile capirci, per delle barriere linguistiche che rimangono, la ricchezza della condivisione nella diversità è molto maggiore di ogni difficoltà.

La mia casa è lontano da qui, vicino a Monrovia (a 500 km). Il senso di appartenenza a questa comunità mi permette di restare lontano dalla mia famiglia. Mi permette di trasformare i miei limiti in possibilità.

Come senti realizzata la tua vocazione missionaria a Foya?

Mi sento missionaria. E sento la chiamata di occuparmi dei malati e di organizzare coloro che operano per i malati. Il centro mi permette di realizzare la mia vocazione. Questo rende la mia vita utile. Sono missionaria anche in senso territoriale.

Come sai l’Italia sta uscendo un po’ alla volta da una gravissima crisi del Covid-19. Cosa puoi dire ai nostri amici italiani?

Preghiamo il Signore perché possiate uscirne completamente e rimettiamo nelle sue mani misericordiose tutti coloro che hanno perso delle persone amate durante questo periodo.