La Chiesa congolese ha proclamato santo patrono del laicato cattolico nazionale Isidore Bakanja, un giovane operaio agricolo, beatificato da Giovanni Paolo II nel 1994 durante il primo Sinodo Africano. Chi era e cosa ha fatto per meritare questo onore da parte della Chiesa?

Isidore è nato nel lontano 1885 nel nord-ovest dell’enorme Paese, oggi chiamato Repubblica Democratica del Congo. La sua città natale è Mbandaka, nella Provincia dell’Equateur. Il Congo era già una colonia belga, anzi un territorio dichiarato “proprietà privata” del re Leopoldo II.

Isidore non frequenta la scuola, che non esisteva ancora nella sua città. Ma diventa apprendista muratore, e si fa amico dei missionari cattolici, i monaci trappisti. Questi gli parlano di Gesù e del suo vangelo, e lui accetta di seguire l’istruzione cristiana e di ricevere il Battesimo il 6 maggio 1906.

I monaci gli fanno conoscere un loro connazionale belga, di nome Reynders, allora impiegato della Société Anonyme Belge che sfruttava la gomma in questa zona. Apprezzando le sue qualità umane lo porta con sé a Busira, dove lo pone a suo servizio. Reynders era una brava persona e la domenica permetteva a Isidore di unirsi alla comunità cristiana, della quale fu nominato catechista e formatore di numerosi catecumeni.

Ma le cose cambiano quando il suo padrone viene inviato dalla sua società a Ikilli, è lì trova come superiore un certo Van Cauter. Ateo convinto e avverso al cristianesimo, era inviperito contro i missionari, che difendevano gli indigeni contro gli abusi dei coloni belgi.

Isidore non lo teme, e continua a vivere spontaneamente la sua fede. Ma lo scapolare carmelitano che portava sempre addosso, che non toglieva neppure sul lavoro, fa imbestialire lo scontroso padrone. Cominciano le persecuzioni.

Un giorno, di fronte al rifiuto di togliersi lo scapolare, Van Cauter ordina che Isidore sia frustato a sangue. Non contento, tenta di strapparglielo con le sue mani, ma Isidore, pur sanguinante non glielo permette. Lui stesso allora lo prende a bastonate e a calci, lasciandolo mezzo morto.

Isidore però non desiste, e ripresosi dalle percorse torna a lavorare. Lo scapolare è sempre in bella mostra attorno al collo. Van Cauter questa volta non ci vede più. Si sente deriso e sfidato da quel manovale africano, e gli fa infliggere 100 terribili colpi di frusta, che gli scorticano la carne fino a mettere nudo le ossa.

Non soddisfatto lo fa incatenare in una gabbia e lo lascia senza cibo per quattro giorni. Essendo stato avvertito dell’arrivo di un ispettore della loro Società, ordina che Isidore sia trasportato e nascosto in un villaggio vicino.

Isidore ha la forza e il coraggio di lasciarsi scivolare dal camion che lo trasportava. È raccolto lungo la strada da un passante compassionevole che lo ricovera a casa sua ed avverte la Società. L’ispettore, sorpreso, corre a vederlo e dà disposizioni affinché sia curato. Ma oramai è troppo tardi.

Chi ne fu testimone riferì che “tutto il suo corpo era diventato una piaga purulenta, invasa dalle mosche”.

I trappisti corrono a rendergli visita e fanno ancora in tempo a dargli la confessione, la comunione e l’estrema unzione. Isidore è sereno, e prima di morire ha la forza di dichiarare che non prova rancore verso chi l’aveva ridotto in quello stato: “Prometto che là dove andrò pregherò per lui!”. Muore a soli 24 anni.

Il 7 giugno 1917 le sue spoglie sono riesumate e trasportate nella chiesa parrocchiale di Bokote, nella Provincia meridionale di Bandundu.

La sua festa liturgica di celebra il 12 agosto.

Lucie Sarr, blog Africa-La Croix