Il 21 marzo 1960, in Sudafrica, si verificò il massacro di Sharpeville, un evento che ebbe un impatto sull’opinione pubblica internazionale e che cambiò la reale percezione verso l’apartheid, ormai definito vero e proprio regime.

Il ruolo del Pan-Africanist Congress

In quella data, i dirigenti del Pan-Africanist Congress (PAC), organizzazione politica sorta nel 1959 da una scissione interna all’ANC, decisero di intraprendere una campagna di protesta, non-violenta, contro le pass law. Tale scelta scaturiva dalla convinzione che “le masse fossero già pronte per rispondere spontaneamente ad un’iniziativa creativa”.

La nascita del PAC derivava da un’opposta visione della situazione sudafricana rispetto a quella del partito di Mandela. L’African National Congress veniva  criticato principalmente per l’adozione di una politica multirazziale, basata sulla collaborazione con liberali e comunisti bianchi, portatori di ideologie straniere. Il PAC recuperò il vecchio slogan Africa for Africans, sottolineando con ciò la volontà di appoggiare il processo di decolonizzazione e di indipendenza nel continente africano, e ribadire che il Sudafrica ancestralmente apparteneva agli africani, che ne reclamavano i diritti.

Robert Sobukwe, principale leader del PAC, a tal proposito, affermò:

“Noi miriamo politicamente a un governo degli Africani, tramite gli Africani, per gli Africani […] e chi è preparato ad accettare l’autorità democratica di una maggioranza Africana può essere considerato come un Africano”.

È importante sottolineare che il PAC non fu solo una manifestazione politica tipica del Sudafrica, ma concettualmente era strettamente collegato alle idee che circolavano all’interno dell’International Pan-Africanist Movement: un movimento culturale, oltre che politico, che abbracciava diversi Stati e differenti realtà sociali.

Robert Mangaliso Sobukwe nacque nel 1924 a Graaff-Reinet, nella regione del Capo. Frequentò l’istituto Lovedale e il Fort Hare College, dove divenne presidente dello Students’ Representative Council (SRC). Si dedicò alla professione di insegnante nella regione del Transvaal, fino a quando venne destituito per aver preso parte alla Defiance Campaign (la Campagna di Sfida contro le leggi ingiuste), nel 1952, promossa dall’ANC. Fu lui tra i principali fondatori del PAC. La creazione del PAC in Sudafrica fu accolta calorosamente, tra gli altri, da Kwame N’krumah, primo presidente del Ghana indipendente, anch’egli fervente africanista.

Le influenze del panafricanismo

Il PAC e Sobukwe erano impregnati delle idee panafricaniste. Il PAC adottò la strategia del going-it-alone (agire da soli), caratterizzata da una politica che contava solo sulle capacità e sulle forze degli africani, senza l’aiuto o la collaborazione di gruppi estranei all’Africa, portatori di ideologie straniere.

Come affermò chiaramente Sobukwe, il PAC:

“Credo che la cooperazione sia possibile solo fra eguali. Non ci può essere cooperazione fra oppressore e oppresso, dominatore e dominato. Questa è collaborazione, non cooperazione. E non possiamo collaborare nella nostra stessa oppressione!”.

Sobukwe rivendicava che il processo di liberazione nazionale degli africani dovesse essere intrapreso autonomamente da loro stessi e soltanto al termine di questo sarebbe stato possibile fondare una società multirazziale dove le differenze etniche e di colore non avrebbero avuto alcuna rilevanza. Spinto da queste idee, il PAC accelerò l’emergere di una protesta africana.

Cosa accadde a Sharpeville

il massacro di Sharpeville, opera del pittore e fotografo Godfrey Rubens

I componenti del PAC, il 21 marzo 1960, incitarono le persone a lasciare i loro pass book a casa e a riunirsi fuori dalle stazioni di polizia di Orlando, a Sharpeville, e delle township di Langa e di Nyanga, presso il Capo Occidentale. La protesta a Sharpeville, ubicata a circa cinquanta chilometri a sud da Johannesburg, sfociò in un massacro. Quel giorno, 20mila persone si mossero verso la stazione di polizia di Sharpeville protestando pacificamente contro le pass law, ovvero le leggi sui lasciapassare. Sebbene i manifestanti fossero disarmati, il contingente di polizia, numericamente inferiore rispetto ad essi, si fece prendere dal panico e iniziò a sparare uccidendo 69 persone e ferendone molte altre. Sobukwe, leader del PAC fu arrestato insieme ad altri dirigenti.

Le conseguenze del massacro

Foto di Silvia C. Turrin scattata nel museo apartheid a Johannesburg

Il tragico episodio ebbe profonde ripercussioni politiche e sociali e influenzò gli sviluppi della storia sudafricana. Sobukwe fu condannato a tre anni di prigione. A causa di una nuova clausola emanata nel 1963, con la quale la polizia poteva detenere una persona anche oltre il periodo previsto dalla sentenza giudiziaria, Sobukwe rimase in carcere sino al 1969. Nonostante il rilascio, fu costretto a rimanere agli arresti domiciliari, presso Kimberley, fino al 1978, anno del suo decesso.

Le proteste, nonostante la dura repressione delle forze dell’ordine presso la township di Sharpeville continuarono in altri centri, come a Langa, alla periferia di Johannesburg.

L’intervento della polizia fu sempre cruento, sebbene non assunse le dimensioni della tragedia di Sharpeville. Il 30 marzo, venne proclamato lo stato di emergenza e invocata la legge marziale: in tal modo venivano sospese tutte le garanzie costituzionali. Di lì a poco, l’8 aprile sia l’ANC sia il PAC furono dichiarate organizzazioni illegali.

In seguito all’eccidio di Sharpeville, il governo di Pretoria varò nuove leggi di carattere repressivo, quali il General Law Amendment Act (1963) che autorizzava la polizia a detenere una persona incommunicado per 90 giorni, rinnovabili, senza mandato, senza processo, senza capi di accusa e senza l’assistenza di un legale. Nel 1965 fu implementato il Criminal Procedure Amendment Act che autorizzava la polizia a trattenere un testimone in un processo incommunicado per 180 giorni, rinnovabili.

L’ANC e il PAC, quest’ultimo senza la guida di Sobukwe, modificarono la loro strategia basata sulla non-violenza, creando proprie ali militari: rispettivamente, l’Umkhonto we Sizwe, “la lancia della nazione”, e il Poqo, termine xhosa che significa “indipendente”.

La storia di quel periodo drammatico del Sudafrica si può ripercorrere all’interno del museo dell’apartheid, creato nel 2001 a Johannesburg (il suo ingresso nella foto di S.C.T.).

Entrare in questo museo è come ritornare indietro nel tempo, perché occorre accedervi scegliendo l’ingresso specifico per il colore della propria pelle. Si prova, quindi, su se stessi, l’assurdità della separazione razziale imperante durante l’epoca dell’apartheid.

 

(a cura di) Silvia C. Turrin

foto: wikipedia.org; Silvia C. Turrin