Kilwa Kisiwani è una delle più antiche e suggestive città costiere della Tanzania e dell’Africa orientale. Poco conosciuto al turismo di massa, questo sito rischia di essere danneggiato a causa dei cambiamenti climatici. Anche qui, come in tante altre zone del continente africano, si può osservare chiaramente l’impatto dell’aumento delle temperature. Kilwa Kisiwani – insieme alla vicina città portuale chiamata Songo Mnara – sta subendo da anni un lento, inesorabile processo di erosione per effetto dell’innalzamento del livello degli oceani e della conseguente maggiore intensità delle onde marine. Per questo, sin dal 1981, l’Unesco ha inserito le vestigia di Kilwa Kisiwani nella lista dei Patrimoni dell’Umanità, al fine di preservarle per il tramite di progetti e investimenti mirati.

Un vitale centro della cultura Swahili

La storia di Kilwa Kisiwani è scandita da fiorenti commerci e da intensi fermenti culturali. Infatti, ha rappresentato un vitale centro della cultura Swahili all’epoca del sultanato fondato da Ali Ibn al-Hassan Shirazi. Il periodo di massima prosperità lo raggiunse tra il XII e il XVI secolo, quando divenne crocevia di scambi di preziose e richiestissime materie, come oro, argento, perle e pregiati profumi. L’importanza di Kilwa Kisiwani è collegabile anche al commercio con la Penisola arabica, con l’antica Persia e con la Cina. Grazie ai vascelli che attraversavano l’oceano Indiano e facevano scalo nelle varie città costiere, giungevano al porto di Kilwa vasellame proveniente dall’Arabia, e poi maioliche e porcellane dall’Oriente.

scorcio della Grande Moschea

La sua rilevanza era testimoniata anche dalla produzione di una moneta locale, che fungeva da scambio, come hanno rivelato vari ritrovamenti in Oman, nella Penisola Arabica e nel sito dell’antico Grande Zimbabwe.

Non sorprende quindi che il grande viaggiatore Ibn Battuta, intorno al 1332, fece tappa in questo centro fiorente. Ne rimase talmente conquistato che descrisse Kilwa come una delle città più belle al mondo, costruita con gusto.

Ibn Battuta potè ammirare la Grande Moschea, uno degli edifici attorno al complesso di Kilwa Kisiwani, oggi protetti dall’Unesco. Si tratta della moschea più antica di tutta la costa orientale dell’Africa.

Oltre a questo sito, che testimonia il processo di islamizzazione di questa parte del continente, le vestigia di Kilwa Kisiwani tutelate dall’Unesco comprendono anche il Forte Gereza, costruito dai Portoghesi. Si tratta di edifici con alle spalle una storia secolare, ma che rischiano di dissolversi nelle acque oceaniche.

L’impatto dell’azione delle onde mina sempre più la stabilità di ciò che rimane di questi edifici. L’erosione non è provocata solo dall’innalzamento del livello dell’oceano, ma anche dalle piogge, divenute sempre più intense a causa del riscaldamento globale.


L’impatto dei cambiamenti climatici sta colpendo in modo drammatico l’Africa non solo sul piano storico-architettonico e archeologico. Basti considerare il perdurare della siccità nel Turkana (si veda a tal proposito L’appello di p. Kamemba “popolazione allo stremo per la siccità in Kenya”) o la devastazione lasciata dietro di sé dai numerosi cicloni e tifoni che hanno colpito varie aree del continente, dal Mozambico al Madagascar passando per il Malawi.

Le nazioni cosiddette “ricche” del pianeta, come gli Stati Uniti, hanno promesso all’Africa oltre 7 miliardi di dollari per rinforzare la resilienza del continente ai cambiamenti climatici. Impegno lanciato da Kamala Harris – vice-presidente nell’attuale amministrazione Biden – nel suo tour di marzo in vari Stati (Ghana, Zambia e Tanzania).

Ma occorre chiedersi:

Cosa stanno realizzando e portando avanti le nazioni più ricche e progredite del pianeta – che sono anche quelle nazioni che hanno maggiormente contribuito all’effetto serra e all’inquinamento globale della Terra – in merito alla decarbonizzazione, all’economia green e allo sviluppo sostenibile?

Le vestigia di Kilwa Kisiwani – insieme alla siccità e ai cicloni – ci stanno lanciando un messaggio: occorre cambiare le logiche politico-economiche, occorre abbracciare nuovi paradigmi, sganciandosi da modelli di potere ancora legati al XX secolo. Le pratiche di dominio devono essere sostituite da pratiche di partnership e di scambio. Quello scambio che ha permesso a tanti centri – tra cui Kilwa Kisiwani – di fiorire, anche a livello culturale.

Silvia C. Turrin

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