P. Matteo Revelli ci scrive da Fès, Marocco, dove è parroco della comunità di africani aub-sahariani e cappellano del carcere.

Fede vissuta nella gioia e nell’apertura…

Anche in quest’anno accademico ci sono circa 450 studenti universitari nelle liste dei presenti nella nostra comunità cattolica. Continuiamo da anni tante belle realtà, che rendono la nostra parrocchia un luogo dinamico di fede vissuta nella gioia e nell’apertura. Quest’anno mi sono particolarmente impegnato affinché gli studenti potessero aprirsi ad avvicinare di persona i numerosi migranti di Fès. Fino al luglio scorso i migranti (a volte quasi un migliaio) si trovavano accampati in tende di fortuna in un terreno abbandonato, proprio a ridosso della stazione ferroviaria di Fès. Senza acqua né luce. Per anni mi sono occupata un po’ di loro con un paio di volontari migranti, con cibo e teli di plastica per le tende di fortuna.

Forzati, nel luglio scorso, ad abbandonare questo luogo di primo ricovero, i migranti si sono stabiliti in alcuni quartieri popolari della città: certo hanno un tetto sulla testa, un po’ d’acqua e una debole illuminazione, ma sono vantaggi che occorre pagare ed ormai non è più permesso guadagnarsi la vita chiedendo l’elemosina per le strade, se non per le donne con bambini piccoli. Da un paio di anni a Fès collabora un dipendente della Caritas di Rabat, che interviene soprattutto attraverso un aiuto in medicinali, un sostegno a quanti non riescono a pagare l’alloggio, un po’ di cibo e vestiti. – C’è bisogno di vestiti caldi, perché Fès è una città in cui la temperatura d’inverno scende facilmente ai 2 gradi.

In quel quartiere è impossibile pensare a strutture stabili della Caritas, che richiedono grandi mezzi e personale. Da anni con un paio di volontari svolgo un lavoro di sostegno ai bisognosi, fornendo un pasto caldo a 45 persone al giorno e la possibilità settimanale, per una ventina di persone, di farsi un bel bagno caldo nell’hammam (bagno turco) locale. La cuoca – che è una vera mamma per i migranti – cucina e serve i pasti in locali di fortuna nel quartiere. La sala da pranzo è la stanza da letto dove la cuoca dorme, dopo che tutti i suoi « figli » sono partiti.

Il mio aiutante ogni mattino distribuisce i 45 buoni-pasto ai più bisognosi. Ma proprio stamattina mi ha detto che la situazione sta diventando esplosiva, perché una parte dei circa 250 migranti del quartiere fanno ressa tutte le sere per avere anche loro la possibilità di un pasto. Inoltre nel quartiere anche tanti marocchini sono poveri e si fanno avanti per vedere se ce n’è proprio per tutti….anche per loro!

Educare all’attenzione verso i più bisognosi !

Quello dei pasti è certo una buona iniziativa, ma che coinvolge nel servizio un numero troppo ristretto di persone. Ho preso coscienza che è essenziale aiutare gli studenti a diventare più attenti e vicini ai migranti. Nel passato – per anni – il rapporto fra la comunità degli studenti e il gruppo dei migranti era stato piuttosto schivo o conflittuale, anche per la paura nei confronti dei “clandestini”, come erano chiamati allora. La diffidenza era diventata reciproca anche a motivo di accoglienze andate male di migranti in casa di studenti.

Ma ormai queste sono esperienze del passato e la mia proposta di creare un gruppo “Solidarietà-studenti” di Fès è stata accolta con entusiasmo, anzi in seguito sono stati formati due altri gruppi, da parte della Legione di Maria e del Rinnovamento Carismatico. Ogni gruppo si autotassa e alla somma di denaro raccolta io aggiungo un altro terzo. La domenica pomeriggio ci si reca nel quartiere a comperare riso, olio, latte, sardine. Poi si sale, assieme ai migranti, su per scale a chiocciola mal illuminate, fin sulla piccola terrazza, in mezzo ai fili di biancheria stesa e lì il mio ruolo è di “rompere il ghiaccio” fra le due comunità.

Gli studenti cercano di stabilire un contatto con i migranti del loro Paese, ci si scambia saluti nelle varie lingue africane comuni e poi c’è il linguaggio per eccellenza degli Africani: il canto, le danze e le risa di allegria. La responsabile di questo gruppo è una ragazza cattolica non battezzata che frequenta la comunità cristiana, mai andata al catechismo.

Nel passato veniva ogni tanto in chiesa per le feste con le amiche. Ora si è impegnata. Ha formato subito un piccolo comitato con un segretario e una tesoriera della cassa comune. Per organizzare visite e attività ci è di prezioso aiuto il nostro gruppo di whatsapp. Dopo la prima visita al quartiere ho scritto sul gruppo il mio grazie per la partecipazione. Eva, la responsabile, mi ha risposto subito: “Grazie a te, padre, perché con questa visita, hai permesso al mio cuore di parlare”.

Il crocifisso di chiodi di p. Gigi

P. Gigi Maccalli  era venuto a visitarmi qui a Fès nel 2003, in qualità di Consigliere della SMA italiana. In quell’occasione mi aveva regalato un piccolo crocifisso composto di chiodi intrecciati, finemente uniti da un fil di ferro. L’insieme sprigiona un sentimento di austerità e di bellezza. Suo papà Giovanni era stato l’artista di questo crocifisso. Aveva imparato a farlo e nelle serate d’inverno passava il suo tempo in queste sue modeste opere d’arte, che poi erano consegnate in Africa ai catechisti, e perfino a me.

Voglio toglierlo dall’armadio e deporlo sull’altare della mia cappella, dove prego sovente anche con gli studenti, per ricordarmi di Gigi, forse in una capanna con la porta inchiodata, segno che, nell’Amore vero, le spine e i chiodi non possono mai mancare…

La vecchia Bibbia sgualcita del carcerato

L’altro ieri sono andato a visitare i carcerati. Erano 30 gli anni scorsi e sono scesi a 14, un po’ alla volta se ne ritornano in libertà. Tre di loro, che saranno liberati a giorni, mi hanno consegnato un pacco piuttosto pesante, con dentro 3 Bibbie sgualcite.

Uno di loro mi ha messo in mano una grande e vecchia Bibbia, pesante almeno un Kilo e mezzo, sgualcita, unta, riincollata, sottolineata, con pagine mancanti…. Poi mi ha preso in disparte per confidarmi che quella Bibbia era rimasta con lui per 20 anni, l’aveva vinta come primo premio in una gara di cultura Biblica al suo Paese. Se l’era portata dietro e l’aveva sempre letta durante i suoi avventurosi viaggi attraverso il mondo in cerca di fortuna.

Per anni, aveva trasportato cocaina nella sua valigia, da un qualche Paese dell’America Latina verso l’Europa o l’Africa. Mi ha confessato che, per un senso di ritegno, non ha mai osato trasportare quella Bibbia nella stessa valigia della droga! Un giorno poi è stato preso durante il suo ultimo scalo di transito in Marocco. Ha trascorso 9 anni in Marocco, di cui conosce solo l’aeroporto e le due carceri in cui ha soggiornato insieme ad altri carcerati anche marocchini. Parte, conoscendo alla perfezione il dialetto marocchino e la Bibbia. Mi confida che quella Bibbia è stata il suo solo sostegno durante la detenzione, adesso non ha più bisogno di quel libro scritto, perché nel frattempo l’ha imparata a memoria.

Me l’affida perché io la dia in seguito a qualche altro carcerato.

L’ho lasciato, lui e gli altri, dando loro la mia benedizione, augurando loro che le parole di quella Bibbia che hanno memorizzato, siano entrate anche nel cuore, assieme al desiderio di cominciare una vita nuova.

Devo ammettere che deponendo quella Bibbia unta e sgualcita nel mio scaffale, accanto alla mia Bibbia ordinata e ben pulita, ho provato un sentimento di vergogna…

Un caro saluto a voi tutti.

P. Matteo Revelli