Nonostante la pandemia, lo sfruttamento delle risorse minerarie africane non si ferma. Anzi, secondo l’agenzia Ecofin, tale settore è destinato a crescere ancor di più con la capillare diffusione nel mondo dei veicoli elettrici. Dalle previsioni, varie nazioni africane vedranno un intensificarsi del commercio minerario per l’estrazione di quei minerali – come litio, cobalto, grafite – usati nella produzione di auto ibride ed elettriche. Tra le nazioni maggiormente interessate da tale tendenza vi sono la Repubblica Democratica del Congo e il Mali.

La (nuova) corsa all’oro

 

La congiuntura economica mondiale, lo sappiamo, è negativa a causa della pandemia. Sebbene anche prima del 2020 la ripresa economica globale era lenta e contraddittoria, dopo un anno di crisi sanitaria la situazione è sempre più grave. Secondo la Banca Mondiale, proprio a causa della pandemia rischiamo di avere una delle peggiori recessioni economiche dal 1870. Il settore minerario africano, però, è tra quelli che non vedranno un rallentamento.

L’oro rimane, in tempo di crisi, un bene rifugio per gli investitori, come dimostrano i progetti di espansione della compagnia mineraria Endeavour Mining. Questo gigante del mondo aurifero, il cui quartier generale si trova nelle isole Cayman, è attivo in Africa Occidentale, in particolare in Burkina Faso, Costa d’Avorio e Senegal. In queste tre nazioni africane la Endeavour Mining dispone di sette miniere e, grazie alla recente fusione con il gruppo Teranga Gold Corporation, la potente multinazionale è riuscita a entrare nella lista dei primi dieci produttori di oro al mondo.

Il minerale della viabilità elettrica, il litio

 

Con l’entrata in vigore in varie nazioni (in special modo nei paesi dell’Unione Europea) della normativa anti-inquinamento, si assiste a un’accelerazione della vendita di veicoli elettrici e di auto ibride. Per produrre questa tipologia di vetture occorrono determinati minerali, tra cui il litio. Alcuni paesi africani che dispongono di tale risorsa mineraria sono già nel mirino di varie società. Per esempio, è il caso della Repubblica Democratica del Congo – nazione ricchissima di preziose risorse minerarie – dove la produzione di litio della miniera di Manono, a circa 500 km da Lubumbashi, sarà venduta alla società cinese Ganfeng Lithium. È importante ricordare che la compagnia AVZ Minerals Limited, con sede in Australia, detiene il 70% della proprietà del giacimento minerario di Manono.

 

Anche in Mali si trova un’alta concentrazione di litio, specialmente nella miniera di Goulamina, a 150 km a sud dalla capitale Bamako. Occorre sottolineare che l’estrazione del litio necessita una grande quantità di acqua. Il Mali, insieme alla Nigeria, rischia in futuro conflitti sul suo territorio legati proprio alla carenza d’acqua (come ha messo in luce il World Water Development Report 2020). Occorre anche sottolineare che in altre aree del pianeta, come in Cile, l’estrazione del litio ha provocato la drastica riduzione e l’inquinamento delle acque sotterranee.

Ancora alta la richiesta di rame

Il rame è un altro di quei minerali la cui richiesta mondiale è sempre alta. Negli ultimi anni, è la domanda cinese che fa salirne le quotazioni. Si parla addirittura di “acquisti speculativi” allo Shanghai Futures Exchange. Questo rinnovato interesse per il rame deriverebbe sia dalla produzione di veicoli elettrici, sia dalla diffusione delle energie rinnovabili. In questi settori decisivi nel futuro, il rame riveste un ruolo centrale grazie alle sue specifiche proprietà, come la conduttività termica e la resistenza ai processi di corrosione. Uno dei progetti africani più importanti in tal senso è quello che riguarda le miniere di rame di Kamoa e Kakula, nella Provincia di Lualaba, a sud della RDC.

Questi giacimenti sono la più grande scoperta di rame ad alto tenore non ancora sfruttati. Si prevede che a partire dal 2021 questi centri minerari trasformeranno la RDC nel primo produttore di rame al mondo. Non a caso, secondo una valutazione economica preliminare, i giacimenti produrranno 18 milioni di tonnellate di rame all’anno. Il progetto Kamoa-Kakula è co-gestito da varie società, tra cui primeggiano la canadese Ivanhoe Mines (39,6%) e la cinese Zijin Mining Group (39,6%), mentre il governo della RDC detiene il 20% del progetto e la parte restante va alla compagnia Crystal River Global Limited.

Nuovi ricchi e vecchi poveri

A questo punto, ci chiediamo quale impatto sociale e ambientale avrà questa rinnovata corsa alle risorse minerarie africane. Una corsa che, sin dai tempi del colonialismo, non si è mai fermata e che in questi ultimi decenni sta conoscendo una nuova impennata per effetto dei mutamenti nel settore automobilistico e delle energie rinnovabili. Tutto ciò non fa che accrescere contraddizioni e divari già ben noti.

Paesi africani ricchi di risorse minerarie, come la RDC, continuano ad avere un basso Indice di Sviluppo Umano e un altrettanto basso PIL pro capite. Le modalità con cui vengono effettuate le estrazione dei minerali da parte delle multinazionali continuano a produrre profondi danni sociali e ambientali in tutto il continente africano. A ciò si aggiunge lo sfruttamento del lavoro minorile, oltre che la corruzione delle élite politico-amministrative.

Ci affiorano alla mente queste parole di Patrice Lumumba (a cui avevamo dedicato un articolo):

“Cosa vogliono i Belgi? Essi sanno che senza le nostre ricchezze il loro paese e la loro economia si troveranno in difficoltà. Per questa unica ragione, per l’egoismo e la cecità di un gruppo di rapaci provocatori, di uomini che non le loro società anonime succhieranno durante un secolo il nostro sangue, hanno provocato la crisi congolese gettando il mondo sull’orlo della guerra”.

Parole che ci spingono a domandarci cosa accadrebbe nel mondo se si ponesse fine al saccheggio indiscriminato delle ricchezze dell’Africa e si iniziasse seriamente a pensare a un nuovo modello di sviluppo economico-energetico, capace di coniugare il rispetto dei diritti umani e la tutela dell’ambiente.

Silvia C. Turrin

Foto: Wikimedia