Nel mese di giugno, in Sudafrica, si ricorda la rivolta di Soweto, un evento che scosse l’opinione pubblica mondiale e che mise in luce le brutalità, l’oppressione e le ingiustizie perpetrate contro persino adolescenti e minori, dell’allora governo di Pretoria. Quella protesta viene chiamata “rivolta di Soweto”, poiché il suo epicentro fu proprio quella township di Johannesburg. Qui, il 16 giugno 1976, venne indetta una manifestazione, presso l’Orlando Stadium della città, per protestare contro l’introduzione dell’afrikaans come lingua veicolare di formazione scolastica. Protagonisti della manifestazione pacifica – poi sfociata in un bagno di sangue a causa dell’intervento delle forze di polizia – furono migliaia di studenti (all’incirca 15mila)

L’afrikaans, considerato l’idioma dell’oppressore razzista

Già all’inizio del ’76, vennero avviate iniziative dirette a opporsi contro l’utilizzo di questo idioma, l’afrikaans, considerato simbolo della cultura dell’oppressore. In numerose classi di Soweto, gli studenti decisero di boicottare le lezioni impartite con questa lingua. Tale presa di posizione venne appoggiata dal South African Students’ Movement (SASM), il cui esecutivo nazionale organizzò, per il giorno sabato 13 giugno, un incontro (vi parteciparono circa 400 studenti rappresentanti tutte le scuole secondarie di Soweto) per pianificare la strategia da adottare per future dimostrazioni di protesta. Formatasi inizialmente nel 1971 col nome di African Students’ Movement (ASM), la South African Students’ Movement (SASM) – denominatasi così a partire dal 1972 – rappresentò, in origine, tre scuole secondarie di Soweto. Successivamente, cercò di trasformarsi in un movimento nazionale rappresentante le scuole superiori. Nel 1973, vennero create nove sezioni presso altrettanti centri scolastici di Johannesburg e altre filiali nacquero nella provincia dell’Eastern Cape, grazie all’intervento di Stephen Biko (ideologo del Movimento della Consapevolezza Nera in Sudafrica).

Una nuova generazione di studenti

Nel corso della riunione del South African Students’ Movement venne eletto un direttivo regionale, che, insieme a due delegati provenienti da ogni scuola, avrebbe formato un comitato d’azione, poi denominato Soweto Students Representative Council (SSRC). Tale comitato fu capeggiato da Tsietsi Mashinini e da Seth Mazibuko, uno dei promotori del boicottaggio delle lezioni presso l’Orlando West Junior Secondary School. Tramite l’influenza di Mashinini venne approvata la decisione di organizzare una manifestazione per mercoledì 16 giugno: i giovani avrebbero dovuto confluire presso l’Orlando Stadium di Soweto dove si sarebbe tenuto un raduno.

Nel giorno fissato, migliaia di studenti sfilarono pacificamente per le vie della township, cantando inni di libertà e diffondendo slogan contro l’afrikaans” e la cosiddetta “Bantu Education (un tipo di educazione concepita dall’allora élite politica razzista per soggiogare e indottrinare la popolazione nera, facendola rimanere sempre subalterna ai bianchi). Quando i manifestanti si trovarono presso Vilakazi Street, ubicata vicino all’Orlando West school, un contingente di polizia lanciò gas lacrimogeni per dissuadere i giovani a proseguire. Questi, anziché arrestarsi, risposero lanciando pietre e la polizia, senza esitare, reagì sparando alla folla disarmata.

Vennero uccisi centinaia di minorenni, tra cui il tredicenne Zolile Hector Pieterson. Altri tre ragazzi morirono in seguito agli scontri e numerosi vennero feriti. Il numero esatto dei morti rimane ancora nebuloso: le fonti ufficiali dell’epoca parlavano di 618 morti, ma – come ha ricordato Jean Giuloineau nel libro “Nelson Mandela” – i morti sono stati oltre mille.

Le sommosse continuarono anche dopo il 16 giugno, diffondendosi prima in altre zone limitrofe a Soweto, poi in svariate aree urbane dell’intero Sudafrica. Le diverse manifestazioni furono accomunate da alcuni elementi, quali: la dura critica verso il sistema della Bantu Education; l’ostilità contro qualsiasi istituzione collegata alla Bantustan policy e contro chiunque collaborasse con il regime, primi fra tutti. Le agitazioni coinvolsero anche genitori e lavoratori, che si unirono alla protesta studentesca rispondendo positivamente all’invito stay-at-home.

La protesta contro il governo razzista

La rivolta di Soweto e le successive sommosse non erano dirette semplicemente contro l’introduzione dell’afrikaans come lingua d’insegnamento, ma riguardavano l’intera struttura della politica di sviluppo separato. Ciò è dimostrato dal fatto che, nel corso del mese di luglio del ’76, i disordini urbani continuarono, nonostante il governo avesse deciso di ritirare la direttiva legata all’utilizzo dell’afrikaans come idioma d’istruzione. Le richieste provenienti non solo dal mondo studentesco, ma dall’intera comunità nera, riguardavano il rilascio dei detenuti politici, la totale abolizione dell’educazione bantu e l’eliminazione di ogni legge legata al sistema di apartheid.

La rivolta di Soweto segna l’inizio di una fase per il Sudafrica. Dopo la quiescenza degli anni Sessanta, a partire dal decennio successivo, le nuove generazioni di studenti e di giovani neri sudafricani divennero più consapevoli dell’urgenza di combattere la politica di apartheid e i gruppi che la sostenevano. Lo stesso Nelson Mandela sottolineò come i giovani di Soweto rappresentassero una generazione diversa “più coraggiosa, ribelle, aggressiva; si rifiutavano di prendere ordini e gridavano Amandla! a ogni occasione”. È stato merito proprio di quella generazione, cresciuta ascoltando anche i messaggi del Black Consciousness Movement (il movimento la cui “mente” fu Biko), che le forze anti-apartheid poterono ritornare a contrastare la politica di apartheid per fondare una nuova società. Si dovette aspettare ancora diciotto anni, prima di vedere realmente le basi di un Sudafrica non più fondato su leggi ingiuste di stampo razzista. Ma il lungo cammino verso la libertà del popolo sudafricano non è terminato, perché non ci può essere una vera libertà in un Paese dove ancora una minoranza (il 10%) detiene l’86% della ricchezza nazionale.

Silvia C. Turrin

Foto: South African History Online; peoplemagazine.co.za