In un’epoca in cui ogni giorno si pronuncia e si ascolta la parola “guerra” come fosse la normalità occorrerebbe “Chiedere scusa ai propri figli“, oltre che alle generazioni che verranno…
Chiedere scusa ai propri figli…
Per non essere stati all’altezza dell’eredità ricevuta dai propri padri. Per non aver realizzato con onestà la missione a noi confidata. Per avere tradito le parole da cui tutto nasce e a cui tutto torna. Per avervi mentito sul senso della vita nell’impressione di essere stati sagggi. Per le mancanze di fedeltà e di coraggio dinnanzi alle scelte e le promesse fattevi. Per la codardia con la quale abbiamo smesso ad un certo punto della nostra vita, di sovvertire il mondo. Per non aver osato dare, donare e domandarvi tutto e senza condizioni. Per i compromessi coi quali abbiamo perso di vista l’essenziale della vita. Per aver imparato e poi avervi insegnato ad essere accomodanti con la verità e la falsità delle cose. Per aver perso del tempo a non sognare assieme a voi.
Cosa significa essere poeta in tempo di guerra?
Significa chiedere scusa…
Per non essere morti prima di voi. Per aver sepolto sul nascere il mondo nuovo che voi immaginavate dovesse accadere. Per le speranze mistificate in un facile ottimismo a buon mercato. Per avere spinto a sbarazzarvi di un Dio fragile e bisognoso per il dio del denaro e delle cose vendibili. Per non essere stati presenti nei momenti in cui era necessario e non esserci ritirati quando era invece importante farlo. Per le guerre mai dichiarate e per quelle mai combattute. Per aver travestito la pace in tranquilla e mediocre ingiustizia per evitare di lasciarvi soli a coltivarla. Per non aver osato amare abbastanza da bruciare i meschini regolamenti degli interessi di parte. Per non avere fatto silenzio nel vostro dolore.
Chiedere continuamente scusa, agli alberi bruciati,
agli uccelli senza nidi, alle case schiacciate…
Per le inutili raccomandazioni a diventare uguali alla maggioranza. Per non avere piantato con voi tutti gli alberi che avremmo dovuto far crescere nel deserto. Per gli occhi spenti, a partire da un certo giorno, perché incapaci di stupore e di ingenua meraviglia. Per non avere cercato insieme i sentieri ancora da scoprire e aver preferito seguire quelli fin troppo battuti. Per non aver contestato le frontiere che contribuivano a discriminare i poveri e per avere scartato gli inutili. Per aver osato abitare nelle case costruite sull’iniquità e all’ombra dei potenti. Per non aver saputo leggere e raccontarvi i segni dei tempi per timore di essere giudicati esagerati. Per non avervi insegnato a scrivere il silenzio delle notti.
Alle lunghe crepe sul fianco delle strade,
ai bambini pallidi, prima e dopo la morte
e al volto di ogni madre triste,
o uccisa!
(Il loro grido è la mia voce, Poesie da Gaza)
Per le macerie che vi lasciamo oggi come principale eredità. Per le armi che avremmo dovuto eliminare per sempre dal nostro immaginario. Per non avervi preso per mano e portati lontano al momento giusto.
P. Mauro Armanino
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LETTURA CONSIGLIATA
Sabbia vento e tempesta. 14 anni di polvere nel Sahel
di Mauro Armanino
Mutus liber, 2025
pagg. 122
Cosa rimane dopo 14 anni nel cuore del Sahel? Sabbia, vento, tempesta e polvere. In questo libro, gli elementi primordiali della natura non sono uno sfondo, ma i protagonisti. La sabbia custodisce le storie non raccontate dei migranti. Il vento porta il soffio indomabile della libertà contro ogni oppressione. La tempesta è la violenza cruda del terrore. E la polvere, onnipresente, insegna l’umiltà di fronte a una verità complessa e mai trasparente. Una meditazione profonda che, dalle terre del Niger, parla all’anima di chi sa ascoltare.