Oggi fanno 17 mesi di rapimento. Un’eternità che poi diventa inspiegabiile assenza come fosse una partenza improvvisa senza dire nulla. Un vuoto che non vuole riempirsi di palliativi o inutili frasi di circostanza. C’è un testo, un contesto e un pretesto, come si diceva in America Latina, nell’avvicinarsi alla parola di Dio.

Il testo è costituito da ciò che p. Gigi è ed ha vissuto col popolo al quale e dal quale è stato legato divenendone, appunto, ostaggio. È  questa la prima realtà da cui partire e a cui tornare. La non seprazione tra lo ‘spirituale’ e l’umano, i bisogni, le povertà e le attese della povera gente, come a suo tempo scriveva il sindaco di Firenze La Pira.

Il testo è l’attenzione ai bimbi malnutriti, le malattie, i pozzi, i progetti agricoli, l’attenzione alle tradizioni e le riflessioni sulle stesse, per liberarne le potenzialità e condividerne le ambiguità senza mai condannare (e poi con che diritto). Il testo è stata pure la sua personale vulnerabilità.

Appena tornato dal soggiorno in patria, voglioso di ri-immergersi nella sabbia del suo popolo, del tutto vulnerabile ad ogni inatteso attacco. Mai come a Bomoanga p. Gigi si sentiva in sicurezza e malgrado le voci di presunti gruppi installatisi nella zona non aveva avuto nessuna remora a riprendere il suo posto abituale nel cortile della missione.

Il contesto sta nel cambiamento effettuatosi in questa zona dello spazio saheliano. Anni di predicazioni estremiste, latitanza dello stato, povertà escludente delle masse giovanili, divisioni communitariste, vittimizzazione di alcuni gruppi etnici, la riduzione delle risorse di terra e acqua disponibili, le connessioni con gruppi e interessi stranieri, complicità a vari livelli e un rinnovato spirito di ‘rivincita djiadista’ hanno offerto terreno fecondo all’installazione e azione di gruppi armati che hanno usato la religione maggioritaria nella regione per tentare la proclamazione di una dittatura ‘salafista’.

P. Gigi, assieme a molti altri, è diventato un facile bersaglio per questi gruppi. Per motivi di denaro, per creare paura e scompiglio nelle comunità cattoliche, per riscrivere la storia in altro modo nel paese dell’etnia Gourmanché.

Il pretesto è quello che in particolare le comunità che da lui erano accompagnate, guidate e sostenute, stanno vivendo e soprattutto soffrendo. In un recente incontro i catechisti della zona, animatori di comunità, facevano osservare che per la prima volta facevano esperienza di ciò che leggevano nel vangelo e che sembrava così lontano da loro.

Di colpo le persecuzioni, gli inviti alla prudenza e alla non così effimera presenza della croce, sono apparsi ormai parte del loro intendere il vangelo. Il pretesto coinvolge anche la Chiesa locale, piccola e fragile perché di minoranza e costituita soprattutto da stranieri. Quanto accaduto col rapimento porta in qualche modo a compimento ciò che si iniziò nel 2015 quando i luoghi di culto della prima capitale Zinder e dell’attuale Niamey furono devastati in seguito all’affare tutto francese di Charlie Hebdo, ilgiornale satirico della vignetta del profeta.

Fa parte del prestesto anche la resistenza delle comunità cristiane che, tra paure, dubbi e testimonianze quotidiane, mantengono viva la memoria di Gigi.

P. Mauro Armanino,
Niamey, 17 febbraio 2020