di Silvia C. Turrin

L’Africa è un immenso, variegato continente. Un mosaico di comunità con differenti tradizioni. Oltrepassando le varie differenze culturali, linguistiche e storiche si scopre che molti popoli hanno in comune simili miti cosmogonici. I sistemi di credenze cosmogoniche raccontano delle origini dell’Universo e dell’umanità. Uno dei miti che accomuna vari popoli riguarda quello del serpente cosmico. Sono miti che si ritrovano dal Maghreb al sud del continente africano. Scopriamone qualcuno insieme.

L’uovo cosmico dei Dogon

La falesia di Bandiagara, luogo abitato dai Dogon

Il nostro viaggio di scoperta parte in Mali. Precisamente scandagliamo i miti che aleggiano attorniano la falesia di Bandiagara, luogo abitato dai Dogon. Secondo il sistema di credenze mitologiche di questo popolo, tutto ebbe origine da un uovo cosmico chiamato Amma.

Il mito Dogon narra che questo uovo vibrò per sette volte, esplose e da questa esplosione venne liberato un “nommo”, ovvero uno spirito che si è manifestato nel mondo. Nommo cadde sulla Terra e nella sua caduta fu seguito da un gemello e da altri quattro nommo. Furono proprio questi esseri – secondo la cosmologia dei Dogon – a creare e organizzare il cielo e la terra, e poi la successione del giorno e della notte, le stagioni e la società umana.

Questo mito viene rappresentato per esempio nelle pitture rupestri Dogon, in cui si trova l’immagine stilizzata della caduta di un nommo sulla terra. Anche attraverso raffinate sculture in legno i Dogon celebrano questo mito cosmologico. Basti pensare agli sgabelli – utilizzati unicamente dai capi religiosi Dogon – che ritraggono alcuni nommo con le braccia al cielo.

Il mito del serpente creatore di vita

Testa di serpente in bronzo risalente all’epoca del Regno del Benin

Secondo gli Akan del Ghana, l’universo è stato generato da Nyame, dea-madre identificabile con la Luna, a cui si aggiunge l’immagine di un lungo serpente, spesso associato all’arcobaleno. Il mito cosmogonico del serpente lo si ritrova nell’Africa Australe, spesso rappresentato da un grande pitone.

Dal sud dell’Algeria, sino a Timbuctu, il primo essere che fu creato era un enorme serpente, chiamato Minia. Il mondo e tutte le forme di vita sarebbero stati concepiti dal suo corpo.

 

Il serpente è proprio una delle creature che si ritrova spesso nei miti cosmogonici africani (e non solo, basti pensare ai miti degli aborigeni australiani).

L’idea di un serpente cosmico come forza primordiale della creazione è particolarmente importante. Per esempio, i Fon del Benin credono che la divinità Mawu-Lisa abbia costruito l’universo grazie al potere di un grande serpente. All’inizio dei tempi, questo gigantesco serpente si arrotolò attorno alla terra informe, riunendo così tutto ciò che è presente nel mondo e nel cosmo.

Secondo i Fon, il serpente svolge ancora un’importante funzione, ovvero si muove in modo permanente, influenzando, attraverso la sua spirale, il moto dei corpi celesti. Queste credenze cosmogoniche vengono rappresentate tramite l’arte, come dimostrano alcune teste di serpente in bronzo del Regno del Benin, molto diffuse tra il XV e il XVIII secolo.

Il mondo dei vivi e dei morti secondo i bakongo

Maschera del popolo Pende (Congo) in cui è espressa la dualità del cosmo attraverso i colori bianco e nero e la linea di separazione del volto.

I popoli chiamati un tempo kongo o anche bakongo, che vivono attorno al fiume Congo, hanno una concezione cosmogonica particolare, associata agli elementi naturali e ai colori. Secondo la loro tradizione, l’universo è composto da due zone tra loro separate da un oceano.

La parte superiore è il mondo degli esseri viventi, spesso rappresentato da una montagna; la parte inferiore è invece il mondo dei morti. I colori che secondo i popoli bakongo predominano nell’universo sono il nero, che simboleggia la terra, mentre il mondo sotterraneo è bianco.

Il colore nero si spiega col fatto che l’umanità è caduta nel regno del male, disobbedendo alle leggi divine. L’alternanza tra il giorno e la notte, così come le varie tappe della vita umana sono scandite dai colori rosso, bianco e nero.

Anche i bakongo, attraverso l’arte, esprimono antichi miti che si perdono nella notte dei tempi e che sopravvivono nell’epoca virtuale dei social.