Margo Jefferson (Chicago 1947), docente alla Columbia University, è una scrittrice e giornalista afroamericana di successo. È stata per anni critica letteraria e d’arte per Newswek e The New York Times, vincendo nel 1995 il Pulitzer per il giornalismo di critica.

I suoi articoli sono stati pubblicati da Vogue, New York Magazine, The Nation e Guernica.

Autrice di un’acclamata biografia su Michael Jackson, in Negroland (66thA2nd, 2017, traduzione di Sara Antonelli), descrive la Chicago dell’alta borghesia afroamericana.

Fin dal titolo, il suo memoir fa un lavoro opposto a quello di tanti libri e film sull’identità afroamericana: smonta pezzo dopo pezzo le certezze di una giovane donna afroamericana cresciuta nel misterioso, ovattato mondo dell’alta borghesia nera.

Con Negroland, Margot Jefferson ha vinto il National Book Critics Award e il premio The Bridge.

L’autrice rivendica fin dalla prima pagina l’uso del termine negro. In un’intervista al quotidiano britannico The Guardian ha detto: “Ero un po’ in ansia per il titolo che ho voluto dare al mio libro. Per questo insisto nello spiegare le risonanze storiche, culturali e quasi mitologiche della parola”. E nel libro Jefferson scrive: Trovo che negro sia ancora una parola piena di meraviglia, gloriosa e terribile. È una parola che si legge nei manifesti con le taglie per gli schiavi in fuga e nei proclami per i diritti civili”.

Con questo libro dal linguaggio gelido e potente – in una lettera alla madre la giovane Margot scrive: “ero così felice che mi sono dimenticata di essere nera” – Margot Jefferson getta una fredda occhiata senza alcuna pietà su se stessa e sulla sua famiglia. Scava a fondo, seziona con un freddo bisturi la sua identità di giovane donna afroamericana privilegiata.

Il padre di Jefferson era un affermato pediatra e la madre era una donna bella e spiritosa, con i capelli come Claudette Colbert, impegnata in cene e spettacoli di beneficenza. Una delle prime cose che Margo ha imparato da piccola era che esistevano neri come loro e altri neri. Neri poveri, brutti e sfortunati, neri che incarnavano e amplificavano tutti gli stereotipi razzisti dei bianchi. Era dovere di Margo e di sua sorella Denise essere sempre impeccabili, nella pronuncia dell’inglese, nei vestiti e nei capelli.

Il libro di Margot Jefferson ci aiuta a vedere la razza per quello che è, una costruzione molto più complessa di un semplice insieme di tratti somatici.

La razza negli Stati Uniti è un meccanismo complicato, fatto anche di classe sociale, lingua, genere, valori e cultura. È un continuum, uno spettro molto fluido, pieno di sfumature che vanno dal nero al bianco. Ci si può trovare intrappolati in un punto di questo spettro o si può imparare a muovercisi dentro.

Per la sua riflessione sul tema della razza è stata paragonata agli attivisti afroamericani James Baldwin e W.E.B. Du Bois. Un libro da leggere, da non ignorare.

L’uso che facciamo della lingua, la lingua dei nostri pensieri, dei nostri pregiudizi assodati, va portata in superficie, scoperta, fatta emergere.

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A cura di Maria Ludovica Piombino
Biblioteca Africana Borghero

Foto: wiki, raicultura.it