Lo scrittore Moyez Gulamhussein Vassanji, nato nel 1950 in Kenya e cresciuto in Tanzania da una famiglia proveniente dal Punjab, commentando il suo romanzo Il mondo sospeso di Vikram Lall (Frassinelli, 2005), ha detto: “avevo tre anni a Desai Road, a Nairobi, quando iniziò in Kenya l’emergenza Mau-Mau. Ho sempre saputo che ne avrei scritto dal punto di vista della mia comunità. I libri raramente parlano della presenza degli indiani in Africa, quando il loro ruolo è stato fondamentale per la crescita economica, la costruzione della ferrovia e la politica del paese. Il problema era che loro non erano né bianchi né neri, ed erano sia asiatici che africani.”

E continua: “La comunità indiana in Kenya o in Tanzania viveva “come se” fosse in India. Ma non lo erano. Erano altro per gli africani (con i quali condividevano la maggior parte delle attività sociali interdette ai non europei e soprattutto la comune condizione di colonizzati) ed  erano altro per i bianchi-inglesi-colonizzatori”.

Il tema principale del racconto di Vassanji, all’interno di un contesto storico che arriva fino all’indipendenza del Kenya nel 1963 e poi ai giorni nostri, è l’interazione sociale e culturale tra la comunità indiana, quell’africana (nel passaggio cruciale della lotta per l’Indipendenza) e l’amministrazione coloniale.

La storia coloniale è lo scenario sul quale appaiono le storie dei suoi protagonisti: il loro mondo sospeso.

Vikram Lall si troverà, suo malgrado, a diventare un funzionario corrotto del Governo Indipendente del Kenya, dopo avere lasciato che la sua famiglia- da due generazioni in Kenya per lavorare alla ferrovia e successivamente nel commercio-e, con lo stesso peso, le tradizioni (religiose soprattutto), abbiano deciso per lui l’andamento della sua vita.

Lui che da bambino aveva giurato, con il suo amico kikuyu Njoroge, di essere fedele a Jomo Kenyatta, ma che aveva anche assistito all’uccisione dei suoi amici europei per opera dei Mau-Mau.

L’India, l’Africa sono le due identità con le quali si cerca di “tornare a casa”, dove spesso la casa non è un luogo fisico,  ma è rappresentata dall’uso della lingua inglese.

Non c’è il ritorno completo in India.

Nelle quattordici storie che si intrecciano una all’altra in Le rocce di Poudre d’Or (E/O, 2006) di Nathacha Appanah, scrittrice nata nelle isole Mauritius da una famiglia indiana, l’abbandono dall’India avviene con l’inganno, con una promessa falsa.

Nel 1882, negli anni in cui l’India è comune colonia britannica, centinaia di indiani furono spinti a raggiungere l’isola Mauritius.

Imbarcati sulle navi, ammassati nelle stive con il rammarico di essere stati comprati per pochi soldi e il rimpianto per la propria casa.

“Hai firmato un contratto! Hai firmato un contratto vedo, hai firmato un contatto che dice che sei d’accordo a lavorare per 5 Rupie al mese. O sali sulla nave o finisci in prigione”.

È il destino degli ignari protagonisti del racconto che, saliti sulla nave Atlas, arriveranno nel villaggio di Podre d’Or dove non c’è l’oro promesso e il lavoro retribuito, ma soltanto rocce da scavare e piantagioni di canna da zucchero da coltivare.

Nelle sue riflessioni sul mondo sospeso, Vassanji aveva anche affermato: “Il colonialismo crea due identità separate tra loro. Confonde, sgretola”.

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A cura di Ludovica Piombino, Biblioteca Africana Borghero

Foto: ismailimail.blog; pagina facebook di L’Express-Maurice