Taiye Selasi (1979) è una scrittrice e fotografa afro-americana, nata a Londra e cresciuta a Boston in Massachusetts, da genitori entrambi medici. Il padre ghanese di etnia ewe e madre nigeriana, di etnia yoruba. Ha una sorella gemella di nome Yetsa.

Taiye è un’abbreviazione di Taiyewo, che in lingua yoruba significa “vedere e assaggiare il mondo” ed è riferito ad un mito yoruba sui gemelli (ibeji), secondo cui il primo nato è in realtà il più giovane, e viene mandato dall’altro, il più saggio, ad esplorare il mondo, in ricognizione.

Ha avuto un’infanzia difficile, passata principalmente senza il padre che incontrerà soltanto a 12 anni. Prende negli anni i cognomi dai patrigni. Selasi, l’ultimo cognome che sceglie di portare, in lingua ewe significa “Dio ha ascoltato”.

Si è laureata con lode a Yale e ha conseguito un Master of Philosophy in relazioni internazionali a Oxford.

Ha vissuto a Boston, New York, New Delhi. Attualmente vive a Roma.

Tra i suoi estimatori internazionali, Salman Rushdie e la grandissima e compianta scrittrice afro americana Toni Morrison, che ha avuto parole di elogio all’uscita della sua raccolta di racconti brevi The sex lives of african girls, pubblicata nel 2011 sulla rivista Granta.

Nel 2013 viene pubblicato il suo primo romanzo, Ghana Must Go, ambientato tra gli Stati Uniti e il Ghana utilizzando uno stile cinematografico e tradotto in italiano in La bellezza delle cose fragili (Einaudi,2015).

Nel 2019 sono suoi i contributi all’antologia Daughters of Africa: an international anthology of words and writings by women of african descent from the ancient egyptian to the present, edito da Margaret Busby.

Non del tutto africana, non del tutto americana, Taiye ha creato personaggi che sono – per usare una parola inventata da lei – afropolitan.

Le sorti della famiglia Sai, protagonista di La bellezza delle cose fragili, sembrano dipendere da un solo evento, un’ingiustizia a sfondo razziale nel paese adottivo. Kwaku, ghanese, e sua moglie Fola, nigeriana, si ritrovano in Massachusetts con i quattro figli. Kwaku è uno stimato chirurgo, il migliore, e per questo gli chiedono di operare un’anziana e bianca benefattrice dell’ospedale che ha – Kwaku lo capisce subito – un’appendicite che non lascia scampo. La donna appartiene a una delle più antiche e ricche famiglie d’America, il chirurgo è un immigrato dall’Africa: quando lei muore sotto i ferri, Kwaku viene licenziato. Ma la vergogna e la rabbia di tutto ciò scivolano leggere nel libro.

Il libro, in parte autobiografico, unisce realismo e saga familiare.

E’ la storia di una famiglia. La storia dei modi semplici e devastanti in cui una famiglia puo’ dividersi. La storia dei modi, ogni volta unici e miracolosi, in cui una famiglia puo’ riunirsi. E’ la storia di una famiglia contemporanea, un affresco del mondo globalizzato” (The Economist).

Recentemente un suo racconto, La vita sessuale delle ragazza africane, è stato inserito  nell’antologia Africana, raccontare il continente al di là degli stereotipi a cura di Chiara Piaggio e Igiaba Scego, nella bella traduzione di Federica Aceto (Feltrinelli, 2021, pp.141-161).

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A cura di Maria Ludovica Piombino
Biblioteca Africana Borghero