A Belém, nel nord del Brasile, si sta svolgendo la trentesima Conferenza internazionale delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (COP30). Un appuntamento importante che, però, è quasi trascurato dai media italiani mainstream, o deformato e spiegato in modo fazioso. Eppure, nel corso della Conferenza 2025 si dovranno decidere temi fondamentali, che riguardano anche le sorti dell’Africa per i prossimi anni. Proprio per fare un po’ di chiarezza, delineiamo di seguito alcuni elementi essenziali per spiegare cos’è la COP30 e perché le scelte che verranno prese in questa sede saranno rilevanti a livello globale.

Cambiamenti Climatici: una questione che risale al XX secolo
Le Conferenze delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (COP) rappresentano uno spazio decisionale multilaterale sulla crisi climatica; crisi che va oltre qualsiasi confine e che coinvolge ogni Paese della Terra (sebbene alle COP non vi partecipino tutti gli Stati).
La prima Conferenza sul Clima delle Nazioni Unite si tenne nel 1995 a Berlino e da allora ne sono state organizzate numerose, in varie parti del mondo: da Kyoto a Bali, da Cancun a Copenaghen, da Parigi a Glasgow, solo citarne alcune.
L’intento è quello di adottare misure comuni ed efficaci che possano porre un freno ai gas serra emessi dalle attività umane, per evitare che le temperature del pianeta aumentino a un livello tale da alterare le condizioni ambientali, rendendo difficile la vita come noi l’abbiamo conosciuta sino ad oggi.
La questione dei cambiamenti climatici e il problema dell’effetto serra hanno una lunga storia alle spalle.
Già negli anni Sessanta del XX secolo, in certi ambienti accademici, scientifici, istituzionali e sociali, vi era la consapevolezza dell’impatto delle attività antropiche sulle temperature globali e sul clima. Basti ricordare che nel 1969, l’allora Segretario Generale delle Nazioni Unite, il birmano U Thant (1909 – 1974), affermò:
“Se i trend attuali continueranno, la vita sulla terra potrebbe essere messa a rischio”.
In questi decenni, gli effetti del global warming sono visibili ovunque. Spesso sono fenomeni opposti, ma la matrice rimane la medesima: l’aumento delle temperature sul pianeta.
Siccità e alluvioni, ondate di calore e uragani più intensi, incendi e trombe d’aria: eventi che interessano ormai tante aree del globo.
Il limite dell’1,5° C
La COP30 si tiene a dieci anni dallo storico Accordo di Parigi (2015), che rimane il testo più ambizioso per combattere il cambiamento climatico.
A Parigi, i Paesi firmatari dell’Accordo si erano impegnati affinché l’aumento della temperatura media globale non superi l’1,5° C entro la fine del secolo. Gli impegni prevedevano altre misure, tra cui piani d’azione mirati per ridurre le emissioni dei gas serra. Principale imputato era ed è l’anidride carbonica che rappresenta circa due terzi delle emissioni globali di gas serra: dall’inizio dell’era industriale, la sua concentrazione nell’atmosfera è aumentata a livelli preoccupanti.
Purtroppo, l’Accordo di Parigi appare disatteso, visto che il pianeta nel 2024 ha superato la soglia dell’1,5°C di riscaldamento globale (rispetto ai livelli di temperatura preindustriali).
Il superamento di questo limite rappresenta per molti un “punto di non ritorno” per il peggioramento della crisi climatica e dei suoi effetti.

Il 2024 è stato l’anno più caldo a livello globale dal 1850, con una temperatura media di 15,10°C: 0,72°C in più rispetto alla media del periodo 1991-2020 e 1,60 °C in più rispetto all’epoca preindustriale
Alla COP30, gli esperti del clima hanno diffuso una valutazione allarmante dell’evoluzione delle emissioni di gas serra: nonostante decenni di avvertimenti e impegni globali, gli sforzi per limitare il riscaldamento a 1,5°C restano insufficienti.
L’Africa e l’impatto della crisi climatica

Come abbiamo sottolineato in altri precedenti Articoli, l’Africa emette meno del 10% dei gas serra responsabili del riscaldamento globale, ma soffre maggiormente dell’impatto dei cambiamenti climatici.
Le fasi di siccità seguite poi dalle intense piogge e da inondazioni interessano sempre più regioni africane.
Una recente analisi del Policy Center for the New South (PCNS), condotta dall’economista Hafez Ghanem, rileva come l’Africa debba prepararsi quanto prima a porre l’adattamento al centro della sua strategia climatica. Secondo lo studio di Ghanem, in particolare l’Africa meridionale conoscerà un aumento delle temperature di oltre 3 °C.
A ciò si aggiungeranno: ondate di calore più frequenti, una diminuzione delle precipitazioni in diverse regioni e un aumento del rischio per le città costiere esposte all’innalzamento del livello del mare.
Trasformare idee e promesse in concrete azioni
Le decisioni che si prenderanno alla COP30 saranno perciò fondamentali per il futuro dell’Africa e della nostra Casa Comune.
Decisioni che vanno oltre la modalità con cui si affronta la crisi climatica, perché comprendono gli aiuti ai più vulnerabili affinché siano dotati di strumenti efficaci per affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici.
Solo se tutti i Paesi si impegnano a ridurre le proprie emissioni di gas serra potremo immaginare un futuro meno cupo rispetto a quello che, oggi, si prospetta in base agli attuali livelli. Ciò significa riprendere l’Accordo di Parigi e rendere vincolante per tutti gli Stati l’impegno delle emissioni zero, entro il 2050.
A pesare però sull’unanimità sono i tanti scetticismi e negazionisti che, per interesse, frenano un vero Accordo globale comune. Tra gli assenti alla COP30, vi sono gli Stati Uniti guidati dall’amministrazione Trump: l’attuale Presidente USA che non crede nel cambiamento climatico, come ha dichiarato pubblicamente nel settembre 2025 all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Assenti anche Cina e India che, insieme agli USA, rimangono tra i maggiori artefici dell’inquinamento globale.
Bill Hare, direttore di Climate Analytics, alla COP30 ha lanciato la sua preoccupazione:
“L’aumento delle temperature è stagnante da quattro anni a causa dell’insufficiente intervento dei governi. Restiamo su una traiettoria di riscaldamento di circa 2,6 °C, che letteralmente brucerebbe il pianeta”.
In tutto questo c’è, per fortuna, una buona notizia: si stanno espandendo le energie rinnovabili, indispensabili per compiere progressi nella transizione energetica. Anche l’Africa sta investendo sempre più nell’energia solare ed eolica.
La voce di Papa Leone XIV
“Il creato grida nelle alluvioni, nelle siccità, nelle tempeste e nel caldo implacabile. Una persona su tre vive in grande vulnerabilità a causa di questi cambiamenti climatici. Per loro, il cambiamento climatico non è una minaccia distante, e ignorarli significa negare la nostra comune umanità. C’è ancora tempo per mantenere l’aumento della temperatura globale sotto 1,5°C, ma la finestra si sta chiudendo. Come custodi della creazione di Dio, siamo chiamati ad agire rapidamente, con fede e profezia, per proteggere il dono che Egli ci ha affidato”.
Questo è un estratto del video-messaggio che Leone XIV aveva inviato alle Chiese del Sud del Mondo, riunite nel Museo Amazzonico di Belém, in occasione della Cop30.
Nel suo discorso lucido e realista, anche il Pontefice ha ricordato l’urgenza di mantenere l’aumento della temperatura del pianeta al di sotto degli 1,5°C, come prevedono gli Accordi di Parigi del 2015.
Accordo che il Santo Padre ha definito “il nostro strumento più forte per proteggere le persone e il pianeta”.
E ha aggiunto:
“…dobbiamo essere onesti: non è l’Accordo che sta fallendo, ma siamo noi che stiamo fallendo nella nostra risposta. Quel che manca è la volontà politica di alcuni”.
Leone XIV prosegue quindi lungo il cammino di ecologia integrale già avviato da Papa Francesco per la protezione e la cura della nostra Casa Comune.
Dunque l’Enciclica Laudato si’, pubblicata il 18 giugno 2015, rimane attuale nei contenuti, nelle preoccupazioni e nelle speranze.
Salvaguardare la natura significa tutelare anche i più poveri, i più vulnerabili.
Lo sanno bene i popoli dell’Amazzonia. Questa foresta pluviale tropicale, la più ampia al mondo, è uno scrigno di biodiversità.
I popoli che la abitano da secoli sono rispettosi dei suoi fragili equilibri ecologici. Per questo, le comunità locali rivendicano il riconoscimento e la protezione dei loro territori.
La nigeriana Ugochi Daniels, Vice Direttrice Generale dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), ha sottolineato che le decisioni che si prenderanno alla COP30 non riguarderanno solo clima e protezione ambientale, ma anche “la difesa della vita delle comunità, la salvaguardia della dignità delle persone e la garanzia che nessuno venga lasciato indietro“.
Silvia C. Turrin