Maryse Condé è una scrittrice dell’isola di Guadalupa, Territorio d’Oltre-Mare francese, nata a Pointe-à-Pitre nel 1937, ed è una delle voci di maggior spicco nella letteratura contemporanea.

È figlia di una delle prime maestre di colore dell’isola – istruitasi perché i creoli per cui lavorava le permisero di approfittare del loro insegnante – e di un padre che “aveva studiato a spese dello Stato”, fondando poi una piccola banca. Per la loro istruzione i suoi famigliari venivano definiti Grands-Nègres, “negri di alto livello”.

Maryse è stata una delle pochissime liceali dell’isola a preparare l’esame per entrare nelle grandes écoles parigine. Si laurea alla Sorbona, ma sceglie subito un’esistenza nomade, passando alcuni anni in diversi stati africani, tra cui la Costa d’Avorio e la Guinea.

A Conakry frequenta intellettuali locali, poi imprigionati, e leader indipendentisti in esilio, come l’angolano Mario Pinto de Andrade e Amilcar Cabral.

Fa esperienza del tribalismo e capisce che gli africani non l’avrebbero mai accettata come una di loro. Con Frantz Fanon inizia a pensare che i “neri esistono come tali solo nella percezione degli europei”.

Dopo una lunga serie di incontri importanti (Kwame Nkurumah, Sembène Ousmane, Roger Dorsinville) e di vicissitudini personali e politiche, lascia definitivamente l’Africa e si trasferisce negli Stati Uniti per insegnare letteratura francese e caraibica nelle maggiori università americane, Columbia, Berkeley, Harvard. Oggi vive in Francia.

La notorietà internazionale arriva con il romanzo Les murailles de terre (in due volumi, tra il 1984 e il 1985, Tradotto dal Edizioni Lavoro), che racconta l’epopea bambara nei vari regni che si sono succeduti nel Mali precoloniale.

La sua produzione letteraria spazia tra romanzi, saggi, opere teatrali e libri per ragazzi.

Tra i premi vinti, ricordiamo il Prix Yourcenar e il Puterbaugh, prima donna a vincerlo, e nel 2018, il Nobel alternativo, con una splendida motivazione:

Maryse Condé è una narratrice eccezionale, la cui scrittura appartiene a pieno titolo alla letteratura mondiale. Nelle sue opere Condé descrive le devastazioni del colonialismo e il caos postcoloniale in una lingua che è al tempo stesso precisa e travolgente.
La magia, il sogno, il terrore e anche l’amore vi sono costantemente presenti. Finzione e realtà si sovrappongono e i suoi personaggi vivono al tempo stesso in un mondo immaginario, governato da antiche e complici tradizioni, e nel presente più attuale.
Con rispetto e senso dell’umorismo, Condé racconta la follia postcoloniale, con i suoi scompigli e abusi, ma anche il calore e la solitudine umana.
Nelle sue storie i morti vivono a stretto contatto con i viventi in un mondo immenso e affollato dove le categorie di genere, razza e classe vengono costantemente stravolte in nuove costellazioni”.

I romanzi di Maryse Condè, ormai letti in tutto il mondo, ripercorrono la memoria ossessionata dalla schiavitù e dal colonialismo, ponendo, in particolare, il problema dell’identità dei discendenti della diaspora.

Come lei stessa ha dichiarato:”So di essere di origine africana, che i neri sono venuti in America quattro secoli fa, ma l’essenziale per me è fare l’inventario di ciò che sono diventata”.

In italiano sono stati tradotti la maggior parte dei suoi lavori da diverse case editrici: Le muraglie di terra, (in due volumi, Ed. Lavoro, 1994),  La traversata della mangrovia, (Ed. Lavoro, 2001, e da poco riedito da Giunti); Io Tituba strega nera di Salem (Giunti, 2019) ; La vita perfida (e/o, 2018) ; Sogni amari (Città aperta, 2006), e il recente romanzo autobiografico, La vita senza fard ( La tartaruga, 2019).

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A cura di Ludovica Piombino, Biblioteca Africana Borghero