In Benin, il Natale è una delle feste la cui celebrazione suscita tanto entusiasmo tra i cristiani, ma anche tra molti non cristiani.

Jérôme Alladayè, storico delle religioni, afferma che “il fervore natalizio si sviluppò e crebbe con il progredire dell’evangelizzazione e, in modo più netto, quando la vita delle parrocchie cominciò ad animarsi con la creazione di diverse associazioni cattoliche, in seguito alla lettera scritta nel 1937 da monsignor Louis Parisot, SMA, allora vicario apostolico del Dahomey”. Oggi, a livello parrocchiale, sono prese diverse disposizioni per la preparazione della festa.

“Oltre alle serate di ritiri parrocchiali – informa padre Hubert Kèdowidé, parroco della parrocchia Buon Pastore di Cotonou – invece di lavorare soltanto all’allestimento del presepe fisico, abbiamo insistito sulla costruzione del presepe interiore, il presepe dei nostri cuori. A questo scopo, durante tutto il tempo di Avvento, i sacerdoti sono ogni giorno disponibili per le Confessioni dopo le Messe mattutine”.

In altri luoghi, sono le corali che si attivano per offrire alle comunità parrocchiali un concerto natalizio.

Un po’ ovunque, all’avvicinarsi della festa, si sentono poesie, canti e racconti di Natale. Diverse famiglie, davanti alla porta di casa, piantano due picchetti e vi appendono una papaia nella quale è posta una candela: il Natale è la festa con addobbi festosi e ritratti di Babbo Natale.

A Godomey, vicino a Calavi, ogni sera di dicembre alcuni gruppi di bambini, muniti di piccoli presepi realizzati da loro stessi, sfilano ed eseguono in coro canti popolari, annunciando l’imminenza del Natale. Jean, uno dei responsabili, 11 anni, spiega: “Andiamo in giro per il quartiere a dire agli adulti che la grande festa è vicina e chiediamo loro dei regali”. E aggiunge: “Ci dividiamo i soldi che riceviamo. Io consegno la mia parte a mia mamma che ha promesso di comprarmi le scarpe per Natale”.

Questi ragazzi, a Godomey come in tutto il sud del Benin, indossano per l’occasione una maschera. Si tratta dei gruppi “Kaléta”. Vanno di casa in casa offrendo il loro spettacolo.

Ballano con brio, in un’atmosfera conviviale. Per loro, un barattolo diventa rapidamente un tam-tam.

Originariamente la tradizione Kaléta fu importata dal Brasile. È l’eredità del ritorno, verso il 1830, degli ex schiavi dal Brasile in Benin. Kaléta è una delle cinque categorie di maschere presenti sulle coste del Golfo di Guinea, ma rispetto alle altre quattro è priva di qualsiasi culto. Per questo viene definita “cosa a bambini”.

In Benin, effettivamente, il Natale è anche la festa dei bambini. È ai bambini che si offrono dei regali.

Al Centro Brésillac (la casa di formazione SMA di Calavi dove mi trovo da quasi tre anni) si organizza una grande festa per tutti i bambini del quartiere. Giochi, canti, balli, caramelle e piccoli doni creano un’atmosfera da favola.

I giorni volano e, dopo tanta attesa, arriva la notte della Natività. La Messa di mezzanotte attira le folle; è ben preparata ed è un tempo di fede entusiasta che può durare tre ore o più. La fatica e il sonno non si fanno sentire: è la notte della gioia e della liberazione da ogni schiavitù; è la notte della nascita di Gesù, il liberatore, il salvatore, il redentore.

Dopo la Messa, la solidarietà è nel cuore di tutti: le porte delle case sono spalancate e tutti sono benvenuti a bere e mangiare. Nessuno deve essere solo al momento di passare a tavola. Non ci si stupirà di vedere arrivare un “senza fissa dimora”. Entrerà in casa, si siederà e mangerà come gli altri.

Padre Giovanni Benetti


L’Articolo è pubblicato anche sulla rivista SMA
di animazione missionaria Il Campo

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