La nostra Assemblea Provinciale 2025 nel suo messaggio finale, nel primo punto, si pronuncia su:  “Vita in Cristo – Carisma – Spiritualità” e “invita tutti i membri e associati a ricentrare la propria vita in Cristo promuovendo la vita spirituale personale e comunitaria, coscienti che tutto è dono di Dio e tutti siamo pellegrini di speranza che camminano all’incontro con Lui”.

A continuazione dice: “Questa vita la viviamo secondo il carisma ricevuto da Mons. De Brésillac che rimane fonte di ispirazione per il nostro Istituto”. Poi ribadisce la centralità della Parola di Dio, l’Eucaristia quotidiana, la preghiera personale, i ritiri mensili, e gli esercizi annuali.

E conclude dicendo: “Si raccomanda la lettura e la riflessione del Bollettino: “Vivere la missione alla maniera degli apostoli. Compendio di spiritualità SMA” (N°163) che è stato il frutto del lavoro di 30 confratelli SMA.

In questo Bollettino, dopo un’introduzione, il capitolo 1 presenta la “Chiamata e risposta di fedeltà”. Quello seguente ci propone “Seguire Gesù alla maniera degli apostoli”; il terzo sviluppa le “Caratteristiche della spiritualità missionaria”; il quarto: “Seguire Gesù fino in fondo con la nostra vita sacerdotale al servizio della missione” e l’ultimo capitolo: “Fedeli ai nostri predecessori e aperti al futuro” concludendo con un epilogo: “Carisma, un donno per la Chiesa”.

Con quest’articolo non ho la pretesa di fare una sintesi o  una recensione di questo Bollettino, ma vorrei sottolineare piuttosto alcune idee che vi sono presente e che considero importanti per la nostra spiritualità missionaria e, alla fine, aggiungerò qualcosa di più personale.

Tutti conosciamo il bellissimo testo di Mons.de Marion Brésillac nel quale parla di una gioia profonda che deve accompagnarci nella vita missionaria (concetto centrale nella prima enciclica di Papa Francesco).

Gli scritti del nostro fondatore dimostrano che era un uomo felice anche in mezzo a sfide e prove”. Dovrebbe essere per noi il “sigillo” di un’autentica vocazione SMA perché è “radicata nella vita di Cristo che viveva una gioia perfetta”. Questa gioia “è allo stesso tempo il contenuto e il contenitore del messaggio di grazia che Gesù ha portato all’umanità” (cf. Gv 15,11).

Non dobbiamo dimenticare che la “gioia” è stata centrale nella prima enciclica di Papa Francesco (La gioia del Vangelo). In India vale una regola semplice, ma profonda: “Se il messaggio è buono, non deve essere solo ascoltato, ma anche visto”. Durante le mie testimonianze dico sempre che il popolo africano ha una gioia che trasmette vita e fiducia e mi sono lasciato evangelizzare dalla loro gioia.

Per il nostro fondatore essere missionarioè un dono di Dio, un carisma particolare e una grazia grandissima” che ci porta là dove una “Voce ci chiama”per aiutare a stabilire il regno di Dio”.

Scrive un confratello: “Suggerisco che la spiritualità missionaria di cui abbiamo particolarmente bisogno oggi sia una spiritualità di pellegrinaggio o di esodo, segnata da vulnerabilità, liminalità e speranza“.

Dell’esodo, perché è una spiritualità “di chi non è mai arrivato definitivamente, di una persona ‘di frontiera’, sempre aperta e in continua esplorazione di nuovi orizzonti”. La vita apostolica non ci offre uno stile di vita equilibrato e sano con la perspettiva di fare carriera, ma spesso essa “ci travolge e ci squilibra”…

Ecco perché dovremmo essere “contemplativi nell’azione” (RM 91), giacché la Parola di Dio apre, scava in noi uno spazio e un silenzio nel quale può nascere la speranza.

Questo neologismo “liminalità” vuol dire il “passaggio” da un mondo familiare a un nuovo tipo di esistenza più gratuita e amorevole nei margini della società, tra i più poveri e abbandonati. Ci invita ad abbattere le nostre frontiere personali e barriere difensive per “rischiare il viaggio nel mondo sconosciuto dell’altro“; si tratta di una spiritualità che ci spinge “ad imitare lo stile di vita di Gesù”, profeta e missionario del Padre.

Un missionario-profeta combatte “per la liberazione del popolo di Dio, cominciando dalla liberazione temporale, ma mirando sempre alla liberazione definitiva ed eterna di Dio”.

Il nostro Fondatore sognava una missione che fosse simile a quella svolta dagli apostoli, ma anche se è difficile replicarla – perché i tempi sono cambiati – la cosa più importante è che le sue idee si avvicinino il più possibile a quelle degli apostoli.

“Tutto il mio pensiero si riduce quindi a queste due parole: fare ciò che farebbero gli Apostoli, e come farebbero gli Apostoli: niente altro che questo, ma tutto questo. Vorrei quindi un’istituzione che sia assolutamente, puramente e veramente apostolica” .

Quindi, “andare assolutamente all’apostolica” significa per il missionario di oggi tradurre e incarnare i valori e le dinamiche dei nostri apostoli in uno stile di vita ben preciso e inculturato in ogni missione.

Ma la missione rimane difficile e complessa diceva San Giovanni Paolo II e sarà lo Spirito a condurci “per le vie ardue e nuove della missione”… “Ogni missionario è autenticamente tale solo se si impegna nella via della santità. La spiritualità missionaria della chiesa è un cammino verso la santità. (cf. RM 87.90).

Un confratello ci ricorda le parole di Mons. Pellet che era stato educato nel seminario minore dal Beato Antoine Chevrier: “Vivere in compagnia di un santo è il più grande favore che Dio possa farci, dopo quello di esserne noi stessi uno“. Dopo la sua responsabilità alla testa della SMA “avrebbe voluto tornare in Africa, per aprire una nuova missione con uno stile povero ed evangelico.”

Il problema si presenta quando il contesto della missione è cambiato tanto e nuovi modelli interpretativi (paradigmi) guardano la missione con altri occhi. Per esempio, oggi la missione è diventata più sensibile alla presenza di altre tradizioni religiose.

Dio era già attivamente presente in Africa e in tutto il mondo prima dell’arrivo dei cristiani”.

Alcuni Papi “hanno lodato i tanti valori positivi trovati nelle tradizioni e culture africane che possono aiutare la persona africana ad aprirsi al Vangelo di Gesù Cristo“.

Oggi non possiamo portare avanti le nostre missioni senza un dialogo interreligioso e rispettoso dell’interculturalità.

Il nostro Fondatore ha seguito il Cristo povero e umile e le virtù teologali lo hanno portato ad accettare di non controllare più la sua vita, ma di metterla nelle mani di Dio nella Fede, nella Speranza e nella Carità. La pietà e la santità di Brésillac si collocano all’interno della Scuola Francese (s. XVII e XVIII), i cui elementi sono parte integrante della sua persona.

Il missionario non può essere un estraneo nel popolo che lo accoglie”… deve essere impregnato “dell’odore delle sue pecore”… Ciò che si desidera è, piuttosto, qualcosa di simile a quel giardino dove passò un cieco. Si chinò, colse un fiore e ne inalò il profumo. “È una rosa”, disse tra sé. Il fiore rispose: “Non sono una rosa. È solo che sono cresciuto vicino alle rose e mi sono lasciato impregnare dalla loro fragranza”.

Diceva il primo vescovo di Niamey (Niger):

Vai dalla gente, siediti sul tappeto dell’ascolto e dell’amicizia, impara la lingua locale, stai con loro e cammina con loro”… si tratta di sedersi con tutti e particolarmente “con gli ultimi, gli scartati e gli esclusi, perché tutti tocchino la fraternità e sentano la consolazione di una presenza che nessuno dimentica”.

Allora, quello che sarebbe prioritario ed essenziale sarebbe: “fare-silenzio, fare-spazio, fare-insieme”.

Il rispetto e l’interesse del Fondatore per le altre culture “dimostrano che il dialogo interculturale e interreligioso era innato in lui”.  Ciò richiede uno sforzo da parte di tutti noi per “andare oltre l’alterità“.

Ricordo un vescovo missionario che diceva:

Racconta la storia di Esopo, dell’orso che decise di diventare il migliore amico dell’uomo. Mentre l’uomo stava facendo il suo pisolino, l’orso si avvicinò per sorvegliare e proteggere il suo sonno. Improvvisamente, una mosca insolente si posò sulla fronte dell’uomo. L’orso decise di uccidere la mosca. Colpì la fronte dell’uomo e uccise la mosca, ma nel processo – quello che oggi chiamano un effetto indesiderato – schiacciò la testa del suo amico, l’uomo…”.

Aprirsi a un mondo diverso può anche essere fonte di disastro.  Ma non si tratta solo di entrare in una cultura diversa senza causare ulteriori danni o con una presenza positiva per gli altri. Si tratta anche di saper bere dal pozzo altrui, cioè di arricchirsi umanamente dei valori culturali più significativi del popolo dal quale si va o a cui si è inviati.

Allora, il primo passo sarà cambiare il modo di guardare gli altri, la cultura. Il Fondatore raccomanda anzitutto al missionario di «liberarsi dai pregiudizi, soprattutto culturali, e di armare i propri occhi di una lente un po’ più in armonia con il colore locale».

Le pietre del fiume rimangono sommerse anno dopo anno. L’acqua scorre sopra, sotto e intorno a loro ogni giorno. Ma se una di queste pietre viene estratta e rotta, si scopre che è completamente asciutta…. Quindi, è possibile vivere in mezzo a un altro popolo e alla sua cultura, anche cercando di evangelizzare, educare o donare qualcosa di sé, rimanendo tuttavia impermeabili, refrattari, chiusi all’influenza positiva di quella cultura.

Ciò che dovrebbe rimanere costante in ogni progetto è il desiderio di interrompere la pratica del paternalismo (‘il padre sa tutto’)” che viene sempre dalla mano dell’assistenzialismo.

Sappiamo che il carisma evolve e dovrebbe adattarsi alle nuove situazioni.

Per la nostra generazione, questo adattamento assume un carattere più urgente a causa dei cambiamenti culturali, religiosi ed ecclesiali… Un altro adattamento del carisma è necessario, e riguarda il contesto locale in cui siamo inseriti. Deve esserci un rapporto dialettico tra il carisma comune a tutti e il carisma “inculturato” nel contesto locale. I due si arricchiscono a vicenda.

Camminare insieme in un cammino di inculturazione, dialogo e liberazione tra e con i poveri: «Questo cammino, con l’aiuto dello Spirito Santo ci modella e ci “formatta”; questa conversione è già una testimonianza missionaria… Il servizio al Regno di Dio, i popoli con cui viviamo e le circostanze ci trasformano e ci invitano a questa continua conversione»…E come diceva una teologa francescana: “La conversione continua è ciò che porta alla missione trasformativa”.

   Personalmente, apprezzo e ringrazio la ricchezza che questi 30 articoli offrono per meditare e approfondire.

Nel lemma della Assemblea Generale si parla della missione “A partire dall’Africa”.

Mi sembra quasi assente nel Bollettino ciò che l’Africa contribuisce alla spiritualità SMA; per esempio, una capacità d’imparare, di oltrepassare quotidianamente innumerevoli frontiere, la “resilienza” innata del popolo africano, e tanti elementi della spiritualità africana (non soltanto la gioia). Non dobbiamo dimenticare che tutti i missionari devono lasciarsi evangelizzare e convertire dagli altri (particolarmente dai più poveri), perché una conversione continua e integrale è “ciò che porta alla missione trasformativa”.

Sono d’accordo che si debba ritornare sempre alle origini (fondatore) per conservare l’identità e la fedeltà.

Quel cammino di ritorno deve essere fatto anche con una “super-fedeltà” al tempo attuale. Quasi tutte le congregazioni sono state create o sviluppate sul modello di un santo o santa (canonizzato o non). Questo fondatore – a sua volta – è stato trasformato dalle sfide del suo tempo e di un incontro personale con la persona di Gesù.

Marion di Brésillac ha guardato e incontrato Gesù con l’aiuto (mediazione) della spiritualità del suo tempo (della scuola francese).

Gregorio di Nissa diceva: “I concetti creano idoli, solo lo stupore convince”. È lo stupore di una presenza o, come direbbe lo stesso Gregorio di Nissa, è il sentimento di una presenza e non un incontro con le teorie e le dottrine su Gesù (per quanto importanti possano essere) quello che ci converte.

È vero, ma le “mediazioni” non sono innocenti… allora, aggiustiamo bene la nostra spiritualità!

Il contesto “globale” della missione e cambiato drasticamente e radicalmente nell’ultimo secolo, anche la nostra Cristologia ed ecclesiologia sono cambiate grazie ai nuovi studi biblici, teologici, istorici ecc.  Dunque, è con questa “drammaticità” e una umile e audace “criticità” che dobbiamo “rileggere” il pensiero e la vita di Marion de Brésillac per aggiornare la nostra spiritualità missionaria e incarnarla “fedelmente” secondo “lo spirito” del nostro Fondatore e delle “grosse” mutazioni nel mondo di oggi, perché tali cambiamenti sono molto significativi per il modo in cui sviluppiamo la nostra spiritualità SMA della missione.

In definitiva, non sono le teorie ciò che contano, ma “essere missionario dal profondo del cuore”!

P. Carlos Bazzara