Suor Sandra è missionaria NSA in Algeria. La piccola chiesa d’Algeria è familiare, resiliente, una missione di prossimità alla gente, impegnata in vari apostolati, come ci racconta in questa toccante lettera.

Sono missionaria NSA in Algeria. Siamo a Hennaya, provincia di Tlemcen, all’estremo ovest dell’Algeria al confine con il Marocco dal 1936. L’Algeria è una repubblica democratica islamica, con un po’ di influenza militare. Per quanto riguarda la situazione economica, dopo il covid, c’è stata una crisi crescente, aggravata da una situazione socio-politica già difficile, e da una tradizione religiosa, che impedisce un’apertura e liberazione della società.

Le celebrazioni cristiane sono permesse solo nei luoghi ufficialmente riconosciuti. È una situazione non facile, sia per cristiani locali, ma purtroppo anche per gli stessi i musulmani che osano una fraternità e collaborazione con noi religiosi; sono essi i primi a sperare in un futuro di maggior apertura e libertà di coscienza e azione.

La nostra è una Chiesa piccola e familiare, una Chiesa resiliente, sempre in piedi, come Maria ai piedi della Croce. Nei vari eventi che viviamo, anche di chiusure di alcune attività, ci fanno soffrire, ma nel silenzio continuiamo a servire, con gioia e senza rancore, cercando di essere luce, e a sapere che non abbiamo nulla da nascondere, poiché il nostro servizio è totalmente per il Bene della persona e dei più bisognosi.

A Hennaya le NSA siamo una comunità internazionale di tre suore: una nigeriana, una togolese e una italiana. La popolazione e le autorità locali ci stimano e sono felicissime di averci che e hanno accolto molto bene le nostre consorelle subsahariane. Ciò non toglie che esse a volte subiscano gesti razzisti, non tanto qui nella nostra cittadina, quanto piuttosto durante i viaggi, e ciò fa soffrire anche me.

I nostri vari apostolati: formazione femminile, l’accoglienza alla porta, conferenze sulla salute e temi d’interesse comune, i corsi di sostegno per l’inglese e il francese, il servizio di infermiera a domicilio, le attività estive per i ragazzi, l’accompagnamento, orientamento assistenza di famiglie con disabili a carico, sono tutti un “ponte” per entrare nelle famiglie e far crescere la “fraternità universale”, aiutando all’apertura interculturale e al rispetto della differenza religiosa.

Abbiamo poi l’apostolato delle prigioni in cui visitiamo i migranti cristiani e teniamo corrispondenza con gli altri musulmani che lo desiderano per avere un contatto con le loro famiglie; e infine la grande gioia della “vita ecumenica” in parrocchia dove la comunità è composta da giovani di tante confessioni cristiane e viviamo insieme i settimanali tempi di preghiera, tempi di speciale preghiera ecumenica e di azione caritativa comune.

I giovani universitari subsahariani che passano da Tlemcen sono veramente un tesoro di capacità, di generosità e maturità, ci evangelizzano. Il vivere in mondo musulmano arabo è per loro occasione di crescita, e questa parrocchia ecumenica offre loro e grazie a loro gli permette di abbattere quei muri che le Chiese nel mondo intero si sono elevati nei secoli, facendo loro fare un cammino di unità a Cristo e tra tutti noi.

Infine, partecipiamo agli eventi quotidiani della vita: matrimoni, funerali, ecc. Il momento più difficile della mia missione è stato nel 2022, quando c’è stata la chiusura da parte del governo di varie attività della Chiesa in altre comunità religiose. È stato sicuramente un momento di sofferenza per tutti noi, che però abbiamo superato con la preghiera e continuando a vivere in serenità, ascoltando lo Spirito.

Un altro momento doloroso riguarda la morte del figlio di una giovane donna conosciuta quando ero a Orano e che non potevo più visitare; saperla in questa difficoltà, sapendola sola, mi faceva soffrire molto. Due anni fa, inoltre, con la comunità cristiana ci siamo presi cura di un fratello migrante ferito durante un respingimento della polizia, ospedalizzato, operato.

Un altro momento critico lo viviamo quando dobbiamo annunciare la morte di un genitore ai migranti che sono in prigione. Quale sofferenza per questi ragazzi lontani dalla famiglia!

A chi è in difficoltà posso dire che è solo la Fede, cioè la Fiducia in questo Dio che ci è Padre Buono e Buon Pastore, che cammina con noi e non ci lascia soli e dunque la preghiera come dialogo e incontro con Lui, che possono sostenerci e darci coraggio e aiutarci nel discernimento. Questo l’ho respirato anche qui con i miei fratelli musulmani. Noi abbiamo la grazia di avere un Dio vicino, che si è incarnato e soffre con noi e prendendo su di sé il nostro male ci permette di rimetterci in piedi!

Io sto tornando in Italia per un periodo prolungato al servizio della mia provincia, sono certa che altri raccoglieranno ciò che ho provato a seminare in questi anni, come io ho raccolto i frutti delle consorelle che mi hanno preceduto.

Come dice papa Francesco, noi non andiamo in missione, noi siamo la missione! Ovunque il Signore ci semina ci dà la grazia per fruttificare…e se Lui ogni tanto ci cambia la terra ne ha una ragione. Lasciamo che sia Lui a guidare la nostra vita, restiamo nella gioia e scopriremo alla fine il magnifico senso del cammino che ci ha offerto di compiere.

Pace a voi!

Suor Sandra Catapano
Algeri