Dambudzo Marechera (1952-1987) è stato uno scrittore, drammaturgo e poeta nato nello Zimbabwe, l’ex colonia britannica chiamata Rhodesia meridionale.
Definito il Joyce della letteratura africana, la sua scrittura è stata vista come una forma di combattimento segnata dall’esilio – in Gran Bretagna, appunto – e dalla schizofrenia. Figlio di genitori Shona, cresce tra discriminazione razziale, povertà e violenza.
Nella sua breve carriera scrive due romanzi, The house of hunger (1978) e The black insider (1992), uscito postumo: ambientato in un edificio della facoltà di arti che offre rifugio a un gruppo di intellettuali e artisti da una imprecisata guerra esterna, che in seguito travolge anche loro. La conversazione dei personaggi è incentrata sull’identità africana e sulla natura dell’arte, con il protagonista che sostiene che l’immagine africana è semplicemente un’altra figura sciovinista di autorità.
Marechera si fa conoscere per la scrittura abrasiva e dettagliata, considerata una nuova frontiera nella letteratura africana. La sua vita, il suo comportamento non ortodosso, lo farà espellere dall’Università di Oxford, nonostante i successi negli studi.
Dopo un tour promozionale che lo rese una star in Germania, Marechera tornerà in Zimbabwe per assistere alle riprese del film tratto dal suo romanzo The house of hunger, ma verrà allontanato dal set dopo aver dato in escandescenze alla notizia che il suo romanzo era stato messo al bando.
Negli ultimi anni vive per le strade di Harare e finirà i suoi giorni, a soli trentacinque anni, dimenticato da tutti, malato di Aids e alcolizzato.
The house of hunger, uscito in Italia soltanto nel 2019 come La casa della fame (Racconti edizione, traduzione di Eva Allione), è il racconto delle vicende politiche di uno studente sacrificato all’identità africana.
Presi le mie cose e me ne andai, così l’incipit: una sentenza drammaticamente segnata dall’ironia di una dipartita incombente e inevitabile, dall’Inghilterra e poi dal mondo, come ultima tappa di un processo autodistruttivo in cui per ogni eccesso della mente era il corpo a incassare. Un classico svanito nel tempo, tempestato da una pioggia di pensieri .
Doris Lessing dirà che leggere La casa della fame è come ascoltare un grido.
Marechera sarà il primo africano a vincere, nel 1979, il Guardian Fiction Prize.
A cura di Ludovica Piombino,
Biblioteca africana Borghero