Dal Centro di spiritualità “Mons. Brésillac” di Calavi, in Benin, p. Gigi, con fermezza e coraggio, ci comunica la missione e il messaggio che porta avanti ormai da qualche anno: “la pace, disarmata e disarmante”, come direbbe papa Leone XIV.
Per oltre due anni sono stato trattenuto, anche con catene, come ostaggio del gruppo jihadista GSIM. Ma da prigioniero ho fatto anche esperienza dell’essenziale e ho capito che ciò che più desideravo era, ed è oggi ancora, la pace, ma non come la dà il mondo.
Ma quali sono i modi ed i mezzi per evitare la guerra?
Come fare missione oggi in tempo di insicurezza?
Ho visto, da dentro l’orrore della guerra e sono convinto che esiste un’altra strada che conduce ad un orizzonte di più umanità.
Questa strada passa dall’abolizione della guerra.
Ora sono in Benin e se venite un giorno a trovarmi, vi accompagnerò à Ouidah città storica della costa, dove c’è la famosa Porta del non-ritorno. Un monumento fatto nel 1995, su iniziativa dell’Unesco, che ricorda la tratta degli schiavi che da qui partivano per le Americhe.
Oggi la schiavitù è stata abolita, così come il colonialismo, che tanto male ha fatto all’Africa. Ormai siamo in dirittura d’arrivo per l’abolizione della pena di morte (la moratoria è avanzata e sarà firmata un giorno da tutti gli stati). Tutte queste conquiste di umanità ci fanno crescere in civiltà. Io credo che la guerra sia una follia e vada abolita. Affermare questo è fare avanzare il mondo in umanità.
Solo quando sapremo proscrivere la guerra, perché è un delitto solo desiderarla, allora si chiuderanno le fabbriche di armi e finirà questa corsa pazza al riarmo e al commettere degli atroci genocidi.
Arrivare ad abolire la guerra è certamente un cammino lungo che chiede di smantellare alcune tesi morali che giustificano oggi ancora la guerra giusta e di legittima difesa. Di fatto la Chiesa si trova incastrata nell’aporia del rifiuto deciso della guerra e l’imprescindibile dovere etico di non rimanere indifferenti di fronte alla violenza del tiranno di turno che si fa aggressore. Sembra che i cristiani siano condannati a un’irrisolvibile contraddizione: da una parte c’è il dovere ad essere costruttori di pace (beatitudine proclamata da Gesù nel discorso della montagna) e dall’altra parte c’è il principio di responsabilità e di realismo politico che obbliga a dire e fare qualcosa per fermare i violenti.
In quest’ anno giubilare che ha come tema “pellegrini di speranza”, esprimo questa mia speranza. Io spero la pace senza se e senza ma, come eutopia (il luogo bello) dell’impegno cristiano, e per questo oso chiedere l’abolizione pura e semplice della guerra. Statuare mondialmente che armare, finanziare, dichiarare e fare la guerra è un atto criminale.
Tra tanto frastuono di guerre in corso io ascolto in silenzio l’eco delle parole del Risorto in questo tempo pasquale: “Pace a voi”, e la sua pace “non è come la dà il mondo” (Gv 14,27). In queste parole misuro tutta la distanza tra la sua pace e quella del mondo e non mi meraviglia che queste parole del Nazareno suonino stonate o esagerate all’orecchio (anche) di molti ‘uomini di chiesa’.
La sua pace è infatti alternativa alla logica del mondo, di essa ho scelto di essere risonanza e non mi turba affatto che venga trattato da ingenuo. Ho visto l’abisso del male nel cuore della guerra e mi dissocio da ogni politica di riarmo.
Io scelgo la nonviolenza, il perdono e l’amore del nemico per costruire ‘la sua pace’.
Di questo voglio essere testimone e missionario. Speriamo domani diventi realtà.
P. Gigi Maccalli
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