Da pochi giorni ci ha lasciato, all’età di 87 anni, Ngũgĩ wa Thiong’o, nato in Kenya nel 1938 e di etnia Kĩkũyũ. Gigante delle letterature africane, in attesa di un Premio Nobel mai arrivato, fondamentalmente per motivi politici, wa Thiong’o è stato soprattutto un faro di resistenza culturale.
Uno dei più influenti scrittori africani del XX e XXI secolo, avvicinabile per tematiche e carisma al nigeriano Chinua Achebe.
Ngũgĩ ha dedicato la sua vita ad esplorare le eredità del colonialismo, a denunciare le ingiustizie sociali e a valorizzare le lingue indigene come strumenti di emancipazione.
In tutti i suoi lavori, racconti, romanzi e soprattutto saggi, ha insegnato, per primo, a liberarsi dalle insidie del colonialismo, dalle gabbie costruite nella mente, restituendo all’Africa e agli africani l’autorevolezza e la dignità delle lingue tradizionali e della Storia.
Nei suoi tre romanzi, Weep not, child (1964), A grain of wheat, (1967) e soprattutto in Petals of blood (1977), tradotti in italiano da Jaca Book, ha denunciato l’uso della lingua come atto politico e individuato nella letteratura un campo di liberazione. I suoi romanzi sono stati definiti “romanzi politici” sottolineando, però , la capacità di wa Thiong’o di “porre la politica fra le altre cose”.
Direttore del dipartimento di Letteratura all’Università di Nairobi negli anni ’70, viene imprigionato per circa un anno a causa sia di alcuni scritti che il governo kenyota interpretò come ostili, sia per la messa in scena di alcune sue opere teatrali, appunto in lingua Gĩkũyũ.
Nel 1980 sceglie di rinunciare in modo definitivo all’inglese e di abbandonare il suo nome cristiano-coloniale James, con cui aveva fino a quel momento firmato i suoi lavori, per adottare il nome Ngũgĩ wa Thiong’o, colui che si attacca alla spada in lingua Gĩkũyũ.
Dieci anni dopo, nel saggio Decolonising the mind : the politics of language in African literature (1989), critica apertamente gli intellettuali africani che continuano a scrivere esclusivamente nelle lingue coloniali:
“Ogni volta che si produce cultura in inglese, francese o portoghese, si impianta una “memoria europea” sui corpi e sulle terre africane, si perde l’immediatezza e la ricchezza dei testi originari”.
Proprio in questo passaggio possiamo leggere un contatto con lo scrittore Chinua Achebe e il suo saggio Hopes and impediments del 1988.
Tutti gli studi sul post-colonialismo sono stati influenzati dall’intera opera di wa Thiong’o, ispirando generazioni di scrittori, accademici e attivisti.
La scelta di abbandonare l’inglese per scrivere nella sua lingua, il Gĩkũyũ, ha rappresentato un atto rivoluzionario, un vero e proprio gesto politico che ha trasformato il dibattito sul ruolo della lingua nella costruzione dell’identità e della memoria collettiva.
Maria Ludovica Piombino
Bibloteca africana Borghero