Padre Gigi condivide un prezioso ricordo del suo incontro con la voce di Papa Francesco proprio durante il periodo del rapimento nel deserto e del loro incontro in Vaticano un mese dopo la sua liberazione.

Il bambino impara a riconoscere la voce del padre fin dal grembo materno. Ero sequestrato dai jihadisti, nel grembo del deserto, quando riconobbi la voce di papa Francesco. Era una domenica mattina di fine maggio 2020 e non sapevo fosse Pentecoste. Per caso quel giorno ascoltai alcune parole in italiano provenire da una stazione radio non precisata. Mi sintonizzai meglio e, grazie a Radio Vaticana, mi ritrovai trasportato nella Basilica di san Pietro a Roma tra canti gregoriani nel bel mezzo della messa pontificale di Pentecoste.

Da oltre un anno e mezzo ero prigioniero del Sahara e provavo una grande solitudine. Finalmente ascoltavo una voce amica che mi parlava e una pagina di vangelo che mi dissetava. La voce era di papa Francesco e il vangelo di Gv 20,20-22: «Come il Padre ha mandato me anch’io mando voi. Ricevete lo Spirito Santo». La stessa pagina che avevo scelto a programma della mia ordinazione sacerdotale 35 anni prima. Ebbi come un tonfo al cuore. Il Risorto mi confermava della sua vicinanza in quella prova e l’omelia del papa fu una carezza di consolazione.

Il 9 novembre 2020 il saluto di benvenuto che mi espresse con la voce si unì al gesto di una stretta di mano calorosa. Papa Francesco in persona mi accolse nel suo ufficio vaticano in udienza privata a un mese esatto dalla mia liberazione. Quel giorno gli ho raccontato di quella messa di Pentecoste aggiungendo che non avevo potuto ricevere la benedizione finale perché il segnale radio si era interrotto bruscamente al canto dell’Agnus Dei.

Quella messa di Pentecoste, rimasta sospesa, si concluse idealmente alla fine dell’udienza con la sua benedizione impartita su di me e sui miei famigliari che mi avevano accompagnato a Roma. Nella foto si vede che io cado in ginocchio assumendo quella posizione che avevo nel deserto quando la sua voce mi raggiunse inaspettata. Stare seduto sui talloni era una mia consuetudine durante la cattività. È una postura usuale tra i tuareg del deserto e così sedevo con i mujahidins quando mi facevano partecipe al loro rito del thè e in ginocchio sulla sabbia pregavo nel silenzio del mio cuore.

In quel colloquio con Papa Francesco mi sono sentito periferia al centro. Ho affidato al suo cuore di padre la missione di Bomoanga e del Niger e custodisco il suo invito a testimoniare il vangelo che è essenzialmente – disse – un messaggio di fraternità per tutti. Gli ho pure condiviso che sono uscito dalla prova del sequestro offrendo il mio perdono a chi mi ha incatenato e privato di due anni di libertà.

A tutt’oggi, questa mia offerta gratuita e unilaterale continua ad alimentare in me una grande pace. Liberare la pace e disarmare le parole armate sono oggi la missione di frontiera che sento urgente testimoniare e per essa mi impegno.

Durante gli anni della libertà ritrovata ho raccolto gli scritti e gli appelli alla pace e alla fratellanza universale che Papa Francesco ha rivolto a tutti dalla finestra del suo pontificato.

Conservo in cuore il desiderio di svilupparne il contenuto per amplificare la sua voce profetica. Pace e fraternità sono oggi le parole testamento che custodisco di lui e di cui mi sento mandato a testimoniare con l’impegno missionario e probabilmente anche con un nuovo libro.

Ora che la sua voce si è spenta mi sento in dovere di gridare sui tetti quel suo messaggio di vicinanza che mi raggiunse nel silenzio del deserto e mi diede speranza. Caro Papa Francesco sarò la tua eco perché il vangelo di Cristo e il suo regno di pace di perdono e di fraternità arrivi a tutti, proprio a tutti come desideravi.

Padre Gigi Maccalli

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P. 
PIER LUIGI MACCALLI


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